Profughi per quindici minuti: al cinema teatro Aurora di Borsano si potrà sperimentare concretamente l’esperienza dei viaggi della speranza dei richiedenti asilo. Perché «siamo tutti sulla stessa barca».
Si chiama “Sconfinati” ed è una proposta della Caritas ambrosiana che sta facendo il giro delle parrocchie lombarde. Nel fine settimana questa iniziativa fa tappa a Borsano, parrocchia in cui i richiedenti asilo di via dei Mille sono già stati più volte coinvolti nella vita della comunità. “Sconfinati”, come spiega Giustina Rivolta per il gruppo socio-culturale della parrocchia, «ha l’apparenza di un gioco di ruolo ma in realtà si offre come percorso esperienziale dedicato al dramma, troppe volte sfociato in tragedia, di quanti attraversano deserti e mari per afferrare una speranza di salvezza». L’appuntamento è per domani dalle 16 alle 23 e per domenica dalle 16 alle 20, in occasione del weekend conclusivo delle celebrazioni per la festa Patronale dei Santi Pietro e Paolo.
Al visitatore verrà chiesto di assumere l’identità di uno dei profughi in fuga dalla Siria piuttosto che dall’Eritrea, dall’Afghanistan o dalla Costa d’Avorio. Si troverà assegnato un nome, una nazionalità, un passaporto. Una storia. Col poco denaro a disposizione, dovrà trattare con gli scafisti la traversata del Mediterraneo sui famigerati barconi. Quindi, con tutti gli altri partecipanti al «gioco», salirà a bordo di una vera barca. Luci e suoni simuleranno una tempesta. Alcuni soccomberanno. Chi sopravviverà, superata la frontiera “naturale” rappresentata dal mare, dovrà affrontare nuovi ostacoli: i confini fra gli Stati, l’ostilità delle popolazioni, le identità nazionali. Fili spinati: materiali e immateriali. Infine la burocrazia. L’ultimo scoglio sarà la commissione che deciderà se accogliere o respingere chi ha rischiato tutto per arrivare fin qui.
Tra le storie su cui il Consorzio Farsi Prossimo (che raggruppa una serie di realtà del terzo settore che si occupano dell’accoglienza dei richiedenti asilo, come la Cooperativa Intrecci che opera a Busto Arsizio) ha preso spunto per costruire questa proposta, che ad alcuni potrà apparire anche una provocazione delle coscienze, c’è anche quella di un “profugo” che attualmente risiede in uno dei centri della provincia di Varese. Ismail, eritreo, ha deciso di lasciare la sua terra di origine non appena ha scoperto che sarebbe stato obbligato a compiere il servizio militare (che in Eritrea dura nove anni) invece di poter studiare e andare all’università:
«Sono partito dal mio paese per Asmara, da qui verso il Sudan e poi la Libia – il racconto di Ismail – è stato un viaggio tremendo, a piedi, senza nulla con me. C’erano altre persone con me. Ci siamo imbarcati una notte, eravamo tantissimi. Ci abbiamo messo ore a partire, continuavano ad arrivare persone a gruppi e le facevano salire tutte. Non ci stavamo, abbiamo protestato, non potevamo partire così. Ma siamo partiti».