«Sodinha è l’impiegato che va ad imprecare il sabato pomeriggio in qualche campionato Csi. Sodinha è me a 12, 13 anni. è banalmente unico, grossolanamente attraente, talentuosamente sovrappeso. Come uscito da un tratto di Botero, come uno dei bambini tondeggianti sul prato verde, come l’affascinante donna immersa nella sua floridità. Sagoma sferica, talmente tonda dal fondersi e confondersi con la palla tra i piedi», scrivevano di lui su Internet.
Felipe Diogo Monteiro, in arte Sodinha, è un ormai ex calciatore brasiliano di 27 anni, che si è messo in mostra in Serie B principalmente con la maglia del Brescia. Talentuoso, con sprazzi da fenomeno vero, eppure sovrappeso, sempre al limite, amato dai tifosi, osannato, perché vero, puro, brasiliano nel sangue, uno che piacerebbe al Caccia. Ebbene, qualche giorno fa Sodinha ha rescisso il contratto che da sei mesi lo legava al Trapani e ha dato l’addio al calcio. Troppi problemi alle ginocchia, troppe operazioni subite e altre due da sostenere per sperare di andare avanti. Felipe ha detto stop, con il sorriso sulle labbra, da brasiliano vero. Un finale tragico, malinconico, diremmo noi. Non per lui, che quel ghigno scanzonato e divertito da brasiliano non se lo toglierà mai. Sul Corriere della Sera, il giornalista lo ha celebrato con un articolo stupendo, meritevole del personaggio.
Abbiamo contattato Carlos, che ci ha parlato a cuore aperto di colui che è stato un avversario del Varese, tra le fila di quel Brescia che vinse 2-1 al Franco Ossola portando al secondo esonero di Stefano Sottili. Quel giorno, e chi era sugli spalti non può non ricordarlo, Sodinha fece impazzire una difesa intera. E questo articolo vuole essere un’ode ad un calciatore che, seppur avversario, ci ha fatto divertire: «Lui è il Brasile,
proprio come a volte ce lo immaginiamo» riflette Carlos. «Ha quella capacità di autodistruzione che hanno solo i brasiliani, che possono essere al contempo re e schiavo, altare e polvere. Disse bene Maifredi quando lo definì un “Renato Pozzetto con i piedi di Maradona”, paragonandolo a Pozzetto per il fisico più che altro. È stato sfortunato ma allo stesso tempo ha contribuito alla sua distruzione, ha avuto cinque o sei interventi alle ginocchia, però non ha mai fatto grande vita da atleta. Una volta tornò dal Brasile dopo venti giorni di vacanza con venti chili in più. Però io, come molti tifosi di Brescia, l’ho adorato per questo suo aspetto molto letterario, poetico, quel suo essere potenzialmente Maradona ma comunque non voler cambiare il suo essere se stesso. Perché parliamoci chiaro, il modo in cui calcia lui la palla l’ho visto solo nei Maradona, nei Messi, nei Neymar. Sodinha è qualità assoluta. Proprio per questo Gene Gnocchi disse che bisogna essere un fuoriclasse per fare quello che faceva Sodinha con quella pancia lì».
Il personaggio è mitologico, poetico, proprio come dice Carlos: «Non si è mai pentito di quello che è, il suo è un fatalismo molto sudamericano. Questa è la sua vita, se torna con cento chili sul groppone sa che si sta facendo del male, però è proprio questo suo essere fuori dal tempo che mi ha fatto impazzire. È lontano dal calcio fisico ed atletico di oggi, eppure è stato in grado di fare la differenza lo stesso e voi a Varese lo sapete bene. Anche se, lo ammetto, quel rigore di Budel in Varese-Brescia che costò la panchina a Sottili non c’era. Però ripeto, in Sodinha c’è la poesia che rivedo solo nei grandi artisti, nelle rockstar. Mi viene in mente un Elvis Presley che si brucia o un Van Gogh, questo per me è Sodinha. Ha avuto una capacità di autodistruzione vista solo nei fuoriclasse».
E gli aneddoti su di lui si sprecano: «Gli piaceva talmente tanto giocare a calcio che il lunedì si intrufolava alle partite di calcetto dei bancari. La voce si sparse tanto che nelle sue ultime apparizioni in quel campetto, venivano oltre duecento persone a vederlo. Una volta, pensate, tornò a casa in mutande perché i bambini presenti praticamente lo spogliarono per portarsi a casa la maglietta, il pantaloncino ed il resto. Un po’ per sfiga ed un po’ per colpa sua ha gettato alle ortiche un talento immenso. Sodinha è tutta una suggestione, una canzone triste di Vinicus de Moraes che però ha una nostalgia di fondo, molto fatalista. Nulla di tragico. Perché l’importante è essere felici, è aver vissuto. Nonostante tutti i suoi problemi, Sodinha ha vissuto, si è divertito. A Brescia abbiamo visto Roberto Baggio, però per lui soffrivi perché vedevi la sua sofferenza nel convivere con le ginocchia a pezzi. Sodinha invece no, lui si è sempre divertito, se l’è spassata. Da brasiliano».