Solone è tra noi e usa Facebook. E attacca chi ha scelto il silenzio

L’editoriale del nostro Bruno Melazzini

Solone, Catone il Censore e il Grillo Parlante di Pinocchio sono tra noi e hanno un account Facebook. Lo si è capito chiaramente domenica quando, scrollando innocentemente il mouse sui social, è stato impossibile non imbattersi nelle sonore ramanzine spiccate da ritrovati proboviri della Costituzione e moralisti da tastiera. Tutti impegnati a tirare le orecchie a chi ha deciso di non andare a votare per il referendum sulle trivelle o peggio di farsi la coda per visitare (Dio ce ne scampi: tutti a casa a darci dentro di cilicio) il centro commerciale dei record di Arese in barba ai seggi elettorali e agli inviolabili e sacerrimi diritti del cittadino.

«Che domenica bestiale», «Povera Italia» «Tutto è perduto, (soprattutto) l’onore», «La democrazia è in pericolo» e «Siamo un Paese morto dentro». Qualcuno, con poca fantasia, spolverava la specialità della casa «Mi vergogno di essere italiano». Per la serie chi è senza peccato scagli la prima pietra. Qualcun altro più prosaicamente dipingeva la coscienza civica del nostro Paese con manieristiche metafore scatologiche. E poi giù con le invettive, tirando in ballo i padri costituenti, il fascismo e la resistenza, la repubblica e la monarchia, le guerre mondiali e anche quella dei Trent’anni, De Gasperi e Togliatti, Gramsci e Giolitti, passando per Mao Tse Tung, Pippo Baudo, il panettiere, il pizzicagnolo, l’arrotino, i due marò e il vicino di casa. E chi più ne ha più ne metta. Una cosa è sicura: la libertà è il bene più grande, per un popolo come per un individuo. E su questo siamo d’accordo con il Solone, il Catone e la compagnia bella di turno. E siamo d’accordo con loro anche quando ci ricordano a suon di piccati ticchettii sulla tastiera che la libertà è il dono più bello che i padri costituenti ci hanno lasciato dopo decenni, se non secoli, di travagli amari come il fiele della nostra difficile storia. E qui sta il punto: la libertà è splendida proprio perché ci consente di scegliere: scegliere di votare sì, scegliere di votare no, scegliere di non andare alle urne e poter rivendicare serenamente le ragione di questa scelta. E di poterlo fare apertamente, senza ricevere insulti o essere esposti al pubblico ludibrio sulla rete, venendo tacciati come pecoroni, inetti, lavativi, lobotomizzati, mascalzoni, parameci e funesti tumori della patria. Ben vengano allora i referendum, quali essi siano, con i convinti sostenitori di una posizione o di un’altra. Voti chi ritiene di farlo e lotti gagliardamente fino in fondo per portare avanti la propria idea e il sacrosanto diritto di dire la sua nell’urna. Ma lo faccia senza dispensare in ogni dove lavate di capo e squallidi predicozzi, mielose lezioncine da social network e giudizi frettolosi. Lasci da parte la tunica di Solone e deponga il cilindro del Grillo Parlante. Un Paese che decide in coscienza di astenersi, che può dire la sua in cabina elettorale come restando lontano dai seggi, non è un Paese morto dentro. E’ un Paese libero fino in fondo. Anche di sbagliare.