Spaccio a Varese, il “Grande Capo” albanese e l’impero della droga: sequestro da 300mila euro

L'uomo, già condannato più volte per reati legati al traffico di stupefacenti, era stato arrestato il 12 giugno 2024 dalla Squadra Mobile in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dalla magistratura varesina. Specializzato nella vendita di cocaina e hashish, vantava una rete di 67 affiliati al suo servizio. L'operazione ha riguardato tre unità immobiliari, tra cui il capannone recentemente acquistato, quattro rapporti bancari e finanziari e un'auto

VARESE – Lo scorso 20 marzo la Polizia di Stato di Varese, attraverso la Divisione Anticrimine, ha eseguito un provvedimento di sequestro emesso dal Tribunale di Milano – Sezione Autonoma Misure di Prevenzione. L’azione è stata disposta su proposta congiunta del Questore Carlo Mazza e del Procuratore della Repubblica di Varese, nei confronti di un cittadino albanese residente nell’hinterland milanese, ritenuto a capo di una rete di spaccio radicata e ben organizzata. L’uomo, già condannato più volte per reati legati alla droga, era stato arrestato il 12 giugno 2024 dalla Squadra Mobile in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla magistratura varesina. Specializzato nella vendita di cocaina e hashish, gestiva un vero e proprio impero criminale che riforniva il mercato di Varese, di altre province lombarde e persino dell’Emilia-Romagna.


Conosciuto come il “Grande Capo”, vantava una rete di 67 affiliati al suo servizio. Le indagini hanno rivelato una struttura piramidale e ben organizzata, che operava come una vera azienda. Il boss si occupava personalmente di far entrare in Italia giovani connazionali con visto turistico, permettendo loro di soggiornare fino a 90 giorni nel territorio Schengen.

Una volta arrivati in Italia, i nuovi reclutati venivano inseriti nel sistema: alloggio, auto intestate a prestanome, cellulari e droga per iniziare l’attività di spaccio. Per sfuggire alle intercettazioni, l’organizzazione aveva allestito una sala operativa in un appartamento, dove un operatore riceveva le ordinazioni dei clienti via WhatsApp e le inoltrava ai pusher tramite piattaforme anonime.
La logistica era curata nei minimi dettagli: un capannone in affitto fungeva da deposito per le auto dei corrieri, la droga e le armi. Sebbene ufficialmente nullatenente, il boss viveva con la sua famiglia in un’abitazione intestata al fratello, suo stretto collaboratore. L’analisi dei flussi finanziari ha rivelato che i familiari fungevano da prestanome, utilizzando proventi illeciti per intestarsi beni immobili.

Per mascherare le entrate derivanti dallo spaccio, la famiglia gestiva una pizzeria d’asporto, che forniva entrate lecite, seppur minime. Inoltre, i conti bancari dei prestanome registravano movimenti di denaro anomali, con bonifici e versamenti in contanti poco prima dell’acquisto di beni. Visti i profitti generati dall’attività criminale, era stato recentemente acquistato anche un capannone intestato ai genitori, usato per supportare la logistica del traffico di droga.


Nel complesso, il sequestro patrimoniale ha riguardato tre unità immobiliari, tra cui il capannone recentemente acquistato; quattro rapporti bancari e finanziari e una autovettura. Il valore complessivo del patrimonio sequestrato, in attesa di valutazione da parte dell’amministratore giudiziario, è stimato oltre i 300mila euro.