Parigi, 31 gen. (Apcom) – Con oltre 19mila oggetti in orbita
terrestre – di cui appena 900 satelliti ancora integri, di cui solo 380 funzionanti – la “spazzatura spaziale” sta diventando un problema sempre più serio e occorre le agenzie spaziali e le Nazioni Unite varino un codice di regolamentazione e prendano provvedimenti: lo ha raccomandato il Centro Nazionale di Studi Spaziali francese (Cnes).
In particolare, per essere autorizzati al lancio gli operatori dei satelliti in orbita geostazionaria dovrebbero dimostrare di poter spostare il satellite su un’orbita più alta alla fine della sua vita operativa (il che comporterebbe una riserva di combustibile pari a quella necessaria per un funzionamento di tre mesi); al momento, sui 21 satelliti giunti a fine ciclo solo undici sono riusciti ad effettuare la manovra con successo.
Già il Comitato dell’Onu per l’Utilizzo pacifico dello spazio si era riunito l’anno scorso a Vienna per discutere una soluzione, senza che al momento nessun Paese membro si sia impegnato formalmente. Secondo gli specialisti le possibili strategie sono due: il recupero della maggior massa possibile di detriti e frammenti oppure una condivisione delle informazioni sulla loro
localizzazione, in modo da minimizzare la possibilità di
collisioni future. La prima, oltre al problema pratico di come far rientrare nell’atmosfera i detriti, è costosa e rischiosa: durante il recupero i pezzi più grandi potrebbero infatti frammentarsi ulteriormente causando maggiori problemi (anche un pezzo di metallo di un centimetro di diametro è potenzialmente distruttivo date le elevate velocità orbitali).
La seconda dipende dalla buona volontà dei Paesi membri di
rivelare l’esatto posizionamento dei propri satelliti – anche
militare – e ogni altro dato riguardante eventuali frammenti: in
questo senso l’Agenzia Sapziale Europea ha lanciato il programma
Space Situational Awareness, che mira alla sorveglianza della
zona interessata. Secondo gli esperti servirebbe tuttavia un sistema globale integrato, proposta su cui fino ad ora solo Stati Uniti e Francia hanno espresso un qualche interesse, senza che nessun Paese abbia però manifestato un sostegno ufficiale all’iniziativa.
L’orbita geostazionaria (a 36 mila chilometri di altitudine) è in particolare la più frequentata, con oltre 200 nuovi “arrivi” ogni anno; la maggior parte dei detriti occupa invece orbite più basse, dove si trovano tuttavia numerosi satelliti scientifici di osservazione e la Stazione Spaziale Internazionale “Alpha”. L’Iss orbita a 400 chilometri di altezza, dove la sopravvivenza dei detriti prima del rientro dell’atmosfera non supera un anno (la stessa Stazione deve correggere periodicamente la sua orbita per rimanere in posizione); a 800 chilometri la permanenza in orbita è di circa due secoli mentre l’orbita geostazionaria rimane sostanzialmente stabile per milioni di anni.
Le collisioni sono tuttavia rare: l’ultima risale allo scorso febbraio e ha coinvolto un satellite Iridium-33 ancora in attività e un satellite militare russo ormai non operativo.
Mgi
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