Questo è un terremoto più subdolo, silenzioso, di quelli che colpiscono al cuore e nemmeno le due stazioni sismiche sono in grado di prevedere. Un terremoto che rischia di fare a pezzi un’idea e la memoria di un uomo, Salvatore Furia, che ha donato alla città qualcosa che legioni di politici non sono state in grado di fare e ora non possono affossare.
Il Centro Geofisico Prealpino ha raccontato ai varesini cosa vuole dire amare la natura,
gli animali, i boschi, i prati e le sorgenti, ha insegnato ai ragazzi a guardare il cielo e ad ascoltare la notte, è stato la capanna nella quale si è sempre rifugiato chi ha creduto nelle battaglie per l’ambiente, ma anche in una società più civile e in uno stile di vita improntato all’osservazione e alla riflessione. In una parola, alla conoscenza.
È semplicemente assurdo – ma ormai l’assurdità è parte costante della nostra esistenza – pensare alla chiusura di un’istituzione che in altri Paesi sarebbe finanziata vita natural durante dallo Stato e colmata di riconoscimenti ufficiali, e da noi deve mendicare i soldi dalla Regione, sempre più scarsi dopo le solite ruberie e i tagli sui tagli di millanta riforme.
Ieri Marco Dal Fior, nelle colonne di questo giornale, ha lanciato un appello alla città, alla gente comune ma soprattutto a ciò che resta della Varese delle imprese, dei commerci e delle professioni, perché uno dei (pochi) punti d’orgoglio di Varese continui nella sua opera di divulgazione e di educazione civica, e l’aiuto non gli manchi. Un appello che è anche un invito a guardarsi dentro, a riscattare la coscienza e a farla di nuovo parte di noi, perché se è bello battersi per calcio e basket moribondi lo è altrettanto per la cultura, che il Centro Geofisico Prealpino rappresenta in eccellenza. Chi negli anni Ottanta possedeva ancora qualche ideale – e allora era il momento delle prime riflessioni sullo stato dell’ambiente – aveva in Salvatore Furia un padre spirituale e nelle stanze di via Beato Angelico un “covo” dove progettare referendum e raccolte di firme, conferenze e articoli, contro la caccia e il nucleare, per il parco del Campo dei Fiori e per la Palude Brabbia, il lago di Varese e la brughiera di Gallarate.
Lui, Giorgio Di Fede per il Wwf e Valerio Lavazza per la Lipu erano i nostri fari, il “prof” arrivava per ultimo alle riunioni, scendendo dal piano di sopra, e ascoltava attento ciò che avevamo da dire. Poi ci “metteva il cappello” e prometteva di parlarne alle istituzioni, con cui aveva un rapporto diretto e senza orpelli: noi sapevamo che qualcosa sarebbe successa, e prima o poi avremmo vinto, e Campo dei Fiori e Brabbia sono lì a dimostrarlo.
Ora vorremmo che tutti quei ragazzi di allora si mobilitassero per restituire, almeno in parte, la ricchezza di idee e di cultura che Furia, il Centro Geofisico Prealpino e la cittadella di Scienze della Natura di Campo dei Fiori hanno donato loro in quegli anni di furibonde battaglie per salvare il bene di tutti, il più prezioso e minacciato, l’ambiente naturale.
Vorremmo che fossero loro a “sobillare” gli imprenditori e i politici, con lo stesso spirito bellicoso ma aperto di un tempo, perché sarebbe vergognoso che nessuno muovesse un dito per conservare ciò che Salvatore Furia e i suoi collaboratori hanno costruito negli anni con la pazienza del ragno e la pervicacia dei faraoni.
Abbiamo perso quasi tutto, le aziende storiche, le banche, le piazze e i grandi alberghi, i mecenati, il sogno della serie A e gli scudetti del basket, lasciateci almeno il bollettino meteo del CGP delle 7,20 nel Gazzettino Padano. Una volta, Salvatore Furia concludeva il suo intervento quotidiano con «buona giornata e pensieri positivi», vediamo di non deluderlo.