E poi magari va a finire che se martedì sera andiamo a morire per sfinimento nella solita tomba di Cittadella (è da un mese e mezzo che diamo tutto restando con un pugno di mosche in mano, può anche venir voglia di mollare), la fanno pagare a Bettinelli. Che pena vedere una squadra che può fare tutto tranne che segnare, castrata e dissanguata. Come se ti tagliassero le gambe e poi ti ordinassero: corri. Con un centravanti come dio comanda saremmo già
salvi da un pezzo. E invece stiamo retrocedendo. Il succo della serie B (il senso del calcio) si chiama gol, ma la società questa assenza se l’è andata a cercare – quando fai le cose male, poi tutto gira storto – vendendo l’unico giocatore che segnava insieme a Neto (che non ha più segnato e ahinoi non segnerà più anche perché Lupoli, che a porta vuota come ieri nell’occasione di Miracoli l’avrebbe buttata dentro, gli apriva spazi attirandosi avversari).
Non siamo una squadra da retrocessione, il mercato di gennaio sì: come scrivere un articolo lungo una pagina e dimenticarsi del titolo.
Non c’è nemmeno un attaccante da prelevare nella Primavera e anche qui bisogna ringraziare la società che si è suicidata liberandosi del creatore di vent’anni di vivaio, Giorgio Scapini (liberandosi cioè di conoscenze e passione senza prezzo) chissà per quale invidia o ripicca, come se il Varese possa avere un futuro senza nuovi Pisano, Lazaar o De Luca! Come se il Varese possa fare a meno di un dirigente bravo, anzi bravissimo, a scovare giocatori, anzi uomini prima che giocatori, e a rinsaldare rapporti che contano, per di più varesino!
Hanno girato come calzini gli uomini mercato, da Milanese ad Ambrosetti, da Cannella e Imborgia, per non ammettere a se stessi di aver fallito – anche qui per invidia, per conoscenze presunte e ambizione personale, o per cos’altro? – nell’unica cosa che contava davvero per il bene del Varese: i buoni rapporti con Sogliano, il migliore che è anche il più grande cuore biancorosso d’Italia. Imperdonabile: arrivano come elefanti in quella che era una cristalleria e snobbano o calpestano chi l’ha creata e chi la ama, spezzando il legame con il passato e con gli uomini che contano. Ma c’è di più: se la prendono quando li critichi perfino di fronte a un clamoroso fallimento tecnico e strategico. Di più: non conoscono le parole scusa, autocritica, umiltà. Non riconoscono che possa esistere qualcuno che di calcio, o di Varese, o di gestione societaria, ne sappia più di loro. E se questo club ha perso autorevolezza, credibilità e fiducia la colpa è sempre di chi c’era prima: Rosati, Montemurro ecc. Ma chi li ha seguiti, o chi ne ha proseguito l’opera, cosa ha fatto di più e di meglio?
La squadra dà tutto ma non basta, Bettinelli dà tutto ma non basta, la gente dà tutto ma non basta. “Martino Borghese”: l’ultima speranza di salvezza è tutta qui, in un urlo, e il ritiro pre Cittadella con uno spogliatoio già unito non serve a un tubo. A meno che si parli, tra una tavolata e l’altra, di nuovo stadio: quello sì che vi salva, vero dirigenti del Varese?