Un giudice del lavoro di Milano ha accolto il ricorso di una lavoratrice padovana pagata 3,96 euro l’ora, definendo lo stipendio “anticostituzionale”. In particolare, si legge nella sentenza, è stato violato l’articolo 36, secondo il quale “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa“. Diritto che, secondo il giudice, non veniva garantito dalla paga offerta dall’azienda per la quale la donna lavorava per 12 mesi all’anno.
A riportare la vicenda è l’Adl Cobas che ha sostenuto la causa intentata dalla lavoratrice di Padova contro la Civis, importante società di vigilanza privata con sede legale a Milano. La donna percepiva uno stipendio netto intorno ai 640 euro, meno del reddito di cittadinanza e sotto la soglia di povertà stimata dall’Istat nel 2020 a 840 euro.
La dipendente, impiegata nel servizio di portierato in un magazzino della grande distribuzione, ha quindi chiesto, tramite lo Studio Gianolla – D’Andrea, la nullità degli articoli 23 e 24 del CCNL Servizi fiduciari e il diritto a percepire una retribuzione che rispetti i principi dell’articolo 36 della Costituzione: una norma fondamentale e necessaria, perché garantisce il diritto ad un retribuzione proporzionata e sufficiente.
I giudici hanno condannato la società a corrispondere le differenze retributive a favore della dipendente, prendendo come riferimento il CCNL ‘Portierato’. Le differenze retributive sono di 372€ mensili, il 30% in più di quanto previsto dal CCNL applicato da Civis. Ha inoltre stabilito che anche gli altri contratti di settore, il “S.A.F.I.” (firmato dalla UIL) e “Aiss” (firmato da UGL) sono inadeguati perché prevedono una retribuzione che è al di sotto della soglia di povertà.