«Hanno fucilato la gente dove passo in bicicletta»

Daniela Tonon di Varano Borghi vive a Parigi dove fa la ricercatrice. «Hanno cambiato la città, non permettiamo sia così per sempre»

«Chiusi nel ristorante diventato improvvisamente silenzioso perché sparavano a 500 metri da noi. Non sapevamo cosa stesse succedendo. I cellulari di tutti squillavano quasi impazziti: erano altri amici che ci chiedevano se stessimo bene. Se eravamo vivi». , 32 anni, di Varano Borghi, da anni vive a Parigi, dove è ricercatrice per l’Université Paris Dauphine.

Daniela vive a 200 metri di distanza dal teatro Bataclan, preso d’assalto dai terroristi nella notte più lunga della Ville Lumiere; venerdì sera era a cena con amici a 500 metri di distanza da Rue de Charonne, dove i terroristi hanno aperto il fuoco «contro la Parigi più inerme. Il decimo e l’undicesimo arrondissement rappresentano il quartiere dei giovani, quello dei locali, dei ristoranti. E lì hanno aperto il fuoco; hanno sparato contro persone sedute ai tavolini,

mentre cenavano e chiacchieravano con gli amici. Avremmo potuto essere noi, alle 20 io attraversavo in bicicletta Rue de Charonne: due ore dopo qui sono state fucilate 18 persone».
Daniela racconta di quei minuti lunghissimi, lei dentro al ristorante le luci blu della polizia e delle ambulanze, gli amici al telefono che parola dopo parola descrivevano l’orrore che andava in scena a pochi passi da lei. «Ci hanno detto di restare in luoghi chiusi, per la nostra sicurezza – racconta – Tardi, molto più tardi siamo usciti, sulla strada. Davanti a noi c’era Parigi deserta di venerdì sera. Non so se quest’immagine abbia un significato per chi non vive in questa città, ma quel vuoto rappresentava perfettamente l’orrore della situazione».

Daniela non è potuta rincasare: «Abito molto vicino al teatro Bataclan, per rincasare ci sarei dovuta passare davanti. Era tutto bloccato, lì hanno giustiziato uno per uno 80 ragazzi», e della mattanza nella storica sala concerti datata 1865 Daniela, ore dopo avrà una testimonianza diretta, quella di un amico: «Insieme ad altri è riuscito a imboccare un’uscita di sicurezza e a salire sul tetto – racconta la giovane ricercatrice – Dal tetto sono entrati nell’abitazione attaccata al teatro. L’anziano che vive lì li ha visti e ha spalancato le sue finestre. Mi ha raccontato che ha continuato ad accogliere persone in fuga da quel tetto sino a quando la situazione non si è calmata».
La trentaduenne varesina racconta del clima di guerra che ha invaso Parigi, con la metropolitana chiusa, l’esercito, la polizia per strada. Lei che dorme da un’amica e che ieri mattina alle 8 è salita su un treno del metrò per tornare a casa. «Poca gente in giro, ma mi è sembrato normale alle 8 di sabato mattina».

Poche ore dopo Daniela esce di nuovo, per fare delle commissioni e lì vede Parigi davvero: «Il silenzio adesso è assordante – racconta – La gente per strada ha lo sguardo basso, incollato a terra».
Molti passanti stringono candele e fiori in mano diretti nelle vicinanze dei luoghi degli attentati. «Dobbiamo andare avanti, è il solo modo per non permettergli di vincere. Ero alla manifestazione per Charlie Hebdo. È stata una cosa importante, anche per i famigliari delle vittime, che oggi saranno molti di più. Quello scendere in piazza è stata una risposta. Io credo che sapremo rispondere anche questa volta».
Ma la paura c’è. «Paura di andare a lavorare lunedì mattina e scoprire che un conoscente, un collega è stato ucciso in questa barbarie. Dobbiamo andare avanti, ma senza mentirci. Hanno cambiato Parigi. Ma non dobbiamo permettere che sia così per sempre».