Mister Slot Machine alla sbarra Il complice conferma le accuse

Mister Slot Machine a processo per rapina: e il complice lo incastra confermando tutto. E raccontando di una banda dal cuore di burro capace di rinunciare a un colpo per non fare male ad un anziano

– È accaduto ieri mattina davanti al gup di Varese nel processo con rito abbreviato a carico di un luinese di 28 anni, noto come Mister Slot Machine in quanto si era specializzato in furti ai danni di bar e tabaccherie mirando proprio agli incassi delle macchinette, accusato in questo frangente di due rapine. O meglio di una rapina e una tentata rapina, compiute in Canton Ticino ai danni di due stazioni di servizio.

Ieri mattina è stato ascoltato il complice dell’imputato, assistito dall’avvocato . Complice che, contrariamente alle aspettative, ha ammesso ogni cosa, coinvolgendo l’imputato e di fatto inchiodandolo sotto il profilo processuale. «Sì – ha detto il teste, che nella giornata di ieri era in aula in doppia veste, teste in questo processo e imputato in un procedimento che lo vede accusato di furto – quelle rapine le abbiamo fatte noi».

Due rapine a distributori

Il teste ha coinvolto, tra l’altro, anche una terza persona: la Polizia di Stato nell’ottobre scorso arrestò in effetti tutto il trio per quei colpi oltre confine.

La chiamata in correità è stata netta; l’uomo ha anche spiegato, rispondendo a domanda precisa, perché la banda si è in un certo senso “evoluta” sotto il profilo criminale, passando dai furti nei bar del Luinese alle rapine in terra elvetica, che implicano rischi maggiori.

«Il motivo è economico – ha detto il teste – il bottino di una rapina in genere è più elevato rispetto a quello di un furto». Si “guadagna” di più insomma.

Il teste ha rivelato però anche il cuore tenero: criminali sì, ma non cattivissimi. Capaci, insomma, di intenerirsi davanti a un anziano. È così infatti che il secondo colpo attribuito alla banda è fallito: «Il gestore del distributore era molto anziano, non voleva darci i soldi. Avremmo dovuto picchiarlo per prenderli, avremmo dovuto fargli male. Non ce la siamo sentita». E così il gruppo se ne è andato in buon ordine uscendo dall’area di servizio a mani vuote.

«Far male al vecchio? Mai»

Chiude il cerchio l’ammissione di non aver spartito il bottino in un’occasione con il terzo componente della banda: «Non era stato sufficientemente bravo ed efficiente». E questa è vera meritocrazia.

Il trio fu arrestato al termine di un’indagine della squadra mobile di Varese coordinata dal pubblico ministero . Il primo colpo contestato dall’accusa fu messo a segno a segno il 13 febbraio 2014 a Ponte Cremenaga al Piccadilly, una stazione di servizio poco dopo il confine con l’Italia: in azione entrarono in due. Di loro si avrà una descrizione precisa anche grazie ai fotogrammi ripresi dalle telecamere di videosorveglianza: alti circa un metro e settanta con felpa di colore scuro e pantaloni scuri. Dopo il colpo i due corsero verso il confine per poi salire a bordo di un veicolo dove un complice li attende.

La seconda rapina, stavolta solo tentata, è stata messa a segno tre giorni dopo intorno alle 19 sempre ai danni dello stesso esercizio commerciale, da parte di due uomini con le stesse caratteristiche fisiche. Scattarono le indagini delle forze dell’ordine italiane e svizzere. E venne identificata l’auto usata per la fuga, di proprietà di uno dei tre rapinatori. A quel punto il cerchio si è chiuso.n S. Car.