Marou e il cacao del delta del Mekong

Appena fuori Can Tho, a sud di Saigon, c’è la cocoa farm Muoi Cuong, la prima nella storia del Vietnam

Vietnam. Can Tho, My Tho, Ben Tre. Il delta del Mekong in tutta la sua ampiezza di strade uniche senza perpendicolari, case, baracche, sedie di plastica, amache e dietro una profondità abissale, dove si aprono corsi d’acqua che si richiudono subito tra palme e bambù. Nel loro casino esistenziale, anche la natura non poteva prendere altri tratti e così immergersi in questa proto-giungla, dove la frutta ti cade in testa e dove le maree tolgono acqua e portano sabbia,

è qualcosa di intimamente legato alla fortuna… di trovare qualcuno che ti ci faccia penetrare, spiegandoti le direzioni e la viabilità di un luogo dove compaiono case, ponti, motorini e strade ma dove è impossibile ritrovare una destinazione abbandonata. Vorresti mangiare tutto, farti tagliare i jack fruit al momento, lasciarti ammaliare dal cromatismo della pitaya, aspettare che i mango maturino e le noci di cocco diventino arancione. È un luogo inquinato e meticcio, da cui andarsene senza nostalgia è quasi impossibile.

Arriviamo in bicicletta, attraverso un continuo di curve e ponticelli, nell’unica cocoa farm della zona, Muoi Cuong, la prima nella storia del Vietnam.
Un ettaro che Cuong ha ereditato dal padre che, negli anni ’60, importò il cacao dal Sud America e impiantò le prime cultivar di trinitario. Macchine ancestrali, simili ai metate aztechi, per produrre il proprio cioccolato e per separare il burro dal cacao magro. Pietre, molte pietre, fermentazioni fatte sotto le foglie del banano, fave vendute ad importatori americani, cioccolato grezzo, senza aromi terziari, un filo acquoso, burro primitivo ma dalle forti connotazioni. Le fave sarebbero anche aromatiche ma la raffinatezza è la futuribilità delle classi oziose e così Cuong, che ha imparato bene l’arte del commercio, continua a proporre il suo cioccolato umido, non cogliendo la nostra voglia di inoltrarsi tra le piante in mezzo alle cabossidi rimaste dopo l’ultimo raccolto. Stupore umido che rimarrà per sempre.

Chi delle piantagioni del sud del Vietnam ne ha fatto un’impresa virtuosa è senza dubbio l’accoppiata di Marou, Vincent e Samuel, francesi ma vietnamiti d’adozione, con esperienze in giro per il mondo tra il marketing e il sociale. Un’oasi tra il caos di Saigon. Tostino in bella vista, una rompi-fave, tre piccoli melangeur per fare il cioccolato, un laboratorio di pasticceria, una caffetteria, tavoloni in legno e fave di cacao provenienti da una quindicina di fattorie da ovest ad est di Ho Chi Minh, tra il delta del Mekong e il parco naturale Cat-Tien, con delle finezze inaspettate in degustazione. Intelligenti le combinazioni e le aromatizzazioni, l’utilizzo del latte di cocco e le caramellizzazioni. Vincent è più agricolo, Samuel più commerciale. Sono i primi bean to bar vietnamiti e probabilmente gli unici seri. Buon cacao, contadini contenti, prezzi giusti e una filiera.
Il cacao può diventare un progetto che partendo dal gusto può tornare alla coltivazione.