Quando sei cresciuto a pane e Paul McCartney, quei rettangoloni bianchi entrano nel tuo Dna

Pochi giorni fa l’anniversario della storica copertina dell’album Abbey Road. Il ricordo di Kevin Ben Ali Zinati

Mainstream? Può essere. Banale? Forse. Obbligatoria? Assolutamente. Per chi di musica sa poco o niente, per chi ascolticchia qualche pezzo in radio e per chi, ovviamente, senza musica impazzisce. Abbey Road è un tempio.

Perché gran parte della musica che ci spariamo nelle orecchie tutti i giorni viene da quei quattro geni assoluti che, non sapendo che immagine usare per la copertina del loro album, si sono inventati “la” copertina. Perché i Beatles sono piccoli cromosomi del Dna di tutti noi. Perché dopo che passi nottate intere a dormire nei foderi delle chitarre per sentire tuo padre provare con il suo gruppo i pezzi dei Fab Four, Abbey Road diventa la tua isola che non c’è, quel posto dove puoi essere quello che vuoi, giovane per sempre o anche tu, per un misero millisecondo, un Beatle.

Così in quella famosa gita londinese per inseguire un altro tuo pallino musicale, la tappa sulle strisce pedonali più famose del mondo non è una scelta, è la risposta ad un richiamo. Per di più se con te c’è tuo fratello, un altro invasato di musica, un’altra vittima della passione maniacale di quell’uomo che ha cresciuto coscientemente due figli a pane e Paul McCartney. In realtà, erano tre i protagonisti di quel viaggio disperato, ma per un casualissimo scherzo del destino, solo i due fratelli hanno raggiunto Abbey Road. Come se quella visita fosse un abbraccio londinese con un padre rimasto a casa, nel freddo di ottobre, sotto la coperta, silenziosamente invidioso.

Come tutti – ma proprio tutti – ci si mette in fila, aspettando il proprio turno per attraversare quei rettangoloni bianchi e un po’ sporcati dal vento e dalla pioggia di Londra. Passano davanti giapponesi, russi, austriaci, il mondo. E spesso i tempi si allungano perché le auto sfrecciano veloci su Abbey Road, non si fermano. E quindi se la foto è venuta male o mossa, la rifai. E gli altri aspettano. Ma non importa. Delle volte, anche le cose più banali regalano emozioni speciali. È il bello della vita: l’imprevedibilità. Camminando per quei cinque secondi che servono per attraversare Abbey Road, non si fa nulla di nuovo, niente che possa passare alla storia.

A volte non bisogna trovare per forza un senso alle cose. A volte bisogna solo vivere. Di emozioni e di musica. Senza farsi troppe domande. Perché a volte il senso è solo quello che si può trovare nel raccontare una bella storia. Come quella volta che abbiamo attraversato Abbey Road, la strada dei Beatles.