Una bustocca al top mondiale della diagnosi prenatale

Una nostra intervista alla famosa genetista Francesca Romana Grati

Riproponiamo l’intervista a Francesca Romana Grati, premio “Enrico Dell’Acqua per Difendere e Garantire il Futuro” alla giornata del Ringraziamento della Città di Busto Arsizio nel 2015, che era stata pubblicata sul numero de “La Provincia di Busto” del 26 ottobre scorso, dedicato alle eccellenze della città.

Una genetista bustocca nell’olimpo mondiale della diagnosi prenatale: è Francesca Romana Grati. Laureata nel ’96, ha iniziato a lavorare con il professor Giuseppe Simoni al Policlinico e al San Paolo di Milano, poi nel 2005, visto che le logiche del mondo universitario le stavano “strette”, è stata chiamata da Simoni a dirigere il reparto di ricerca e sviluppo (all’epoca non esisteva) dell’Istituto Toma.

Quella che facciamo è una ricerca e sviluppo praticamente a costo zero, perché attivo risorse interne, distaccandole, a seconda delle esigenze. Perché è sempre una ricerca e sviluppo orientata all’offerta clinica e diagnostica. È un lavoro di valutazione delle capacità analitiche e dell’utilità clinica delle tecnologie e dei test innovativi.

Importante, mi permette di interagire con i massimi esperti internazionali nell’ambito della diagnosi prenatale e terapia fetale, confrontandomi e collaborando a progetti. Il motivo per cui sono stata eletta è il risultato di una serie di pubblicazioni scientifiche internazionali in cui ho portato l’esperienza del laboratorio e la modalità con cui il laboratorio lavora. È stata questa la vera motivazione che ha portato me ad essere candidata.

Io vivo e lavoro a Busto Arsizio, non siamo nel centro del mondo, nei grandi centri di ricerca americani o inglesi, dove “accadono le cose” in questo campo. Noi siamo un laboratorio di diagnostica, in fondo. La visibilità del laboratorio è emersa soprattutto dalle applicazioni che abbiamo svolto e dalla sincerità e trasparenza scientifica con cui abbiamo presentato i nostri dati.

Probabilmente è il nostro merito: il fatto di stabilire relazioni e interazioni con altri centri a livello mondiale che hanno fatto sì che i nostri dati potessero emergere nella maniera migliore. E poi c’è da tener presente che ci contraddistingue il fatto che, pur essendo un laboratorio molto innovativo, siamo sempre legati alla tradizione. Come l’analisi manuale del cariotipo dei villi coriali, che noi facciamo ancora: ormai questi dati, che servono per interpretare i limiti e i vantaggi delle nuove tecnologie, ce li abbiamo solo noi.

Una sorpresa. Nel mio modo di pensare, non penso mai ai premi. Mi ha fatto molto piacere, perché ho sempre lavorato pensando di impegnarmi per le gestanti, visto che lo sono stata anch’io, e sono anch’io mamma.

Talvolta mi ha creato complicazioni di ordine pratico, soprattutto quando mio figlio Jacopo era più piccolo, ma per fortuna mia mamma mi ha aiutato e mio marito non si è mai messo in competizione con me e ha capito che era il mio “momento”.

Paradossalmente dovremmo inserire le quote azzurre. Va detto che la biologia in Italia è sempre stata molto “rosa”, ma il fatto di essere un’azienda al femminile, un’anomalia in Italia, è venuta fuori quasi naturalmente con gli anni. Tra di noi ci intendiamo subito, ci aiutiamo, c’è una sensibilità particolare e posso dire di sentire dell’affetto tra colleghe, dell’interesse umano che va al di là della collaborazione professionale.

Che la genetica sia in espansione è evidente, lo dimostra il fatto che il presidente Usa Obama ha investito ingenti risorse pubbliche nella prevenzione in termini genetici, con la prospettiva che bambini più sani e anziani più sani porta risparmi futuri per il sistema sanitario. Sono convinta, ad esempio, che investire in una buona diagnosi prenatale porterebbe risparmi. Ci vorrebbero input dall’alto che in questo momento non arrivano.