Cosa accade se muore il nostro “Fido”

La particolare relazione che lega la persona al proprio animale d’affezione è sempre stata oggetto di un dibattito giuridico, soprattutto nei casi di uccisione o danneggiamento a causa della condotta di un terzo soggetto o di un altro animale.

In tali ipotesi, infatti, si rinviene la lesione all’interesse tutelato dall’art. 2 della Costituzione riguardante la protezione dello sviluppo della personalità umana, in cui rientra, a pieno titolo, la componente dell’affetto verso gli animali da compagnia. La condotta idonea a cagionare l’evento dannoso può essere di natura penale – uccisione o maltrattamento di animali ex artt. 544 bis e ter c.p. – o può derivare dalla violazione dei doveri di diligenza e prudenza – ad esempio la mancata sorveglianza dell’animale – da cui discende l’obbligo per il responsabile di risarcire i danni conseguenti.

Questi ultimi si distinguono in due categorie: patrimoniali e non patrimoniali. I primi, secondo una costante prassi giurisprudenziale, sono riconducibili direttamente all’evento dannoso e consistono nelle spese veterinarie sostenute per la cura dell’animale, oltre che alla perdita del suo valore economico.

Sono, tuttavia, non risarcibili dal danneggiante gli ulteriori danni verificatisi a causa di comportamenti non diligenti tenuti successivamente al fatto dal proprietario dell’animale, il quale ha comunque il dovere di evitare l’aggravarsi del pregiudizio subito.

I danni non patrimoniali, invece, sono ricollegabili solo in via indiretta alla perdita dell’animale, e riguardano la sfera emotiva del proprietario dello stesso. La salute dell’animale è, perciò, tutelata in quanto strumentale e funzionale a garantire la relazione con l’uomo, non essendo oggi ancora ipotizzabile la risarcibilità di un danno alla salute in sé dell’animale stesso, nonostante sia da più parti invocata sulla base dell’affermazione di principi animalisti sempre più diffusi e condivisi.

Si ritiene, quindi, che il danno “morale da perdita dell’animale di affezione” sia pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di merito e, pertanto, risarcibile sia nel caso in cui la condotta del danneggiante risulti connotata da profili di illiceità penale, sia quando costituisca una violazione dei doveri di diligenza e prudenza non riconducibili a reato.

avv. Matteo Borgini

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