«Uno, due, tre Tarci!» Un urlo va in cielo

«Il successo non sta mai nel finale, l’errore non è mai fatale. È il coraggio che conta». Nella frase di John R. Wooden è racchiuso il significato di una partita, di una serata, di un gruppo di amici che porta avanti con il sorriso un messaggio talmente importante da essere in grado di salvare vite umane.

Si può lottare come dei leoni prima di gettare la spugna: così ha fatto Tarcisio Vaghi nella battaglia contro la leucemia, persa perché a volte esiste un destino che alla fine ti spunta ogni arma che provi a sfoderare. Ciò che questa bastarda malattia non sa, è che il “Tarci” ha convogliato dietro di sé un esercito che continua a combattere la sua guerra: una masnada di ragazzacci che sono “Cestisti fino al midollo” e si impegnano dentro quel campo di basket che era il centro della sua vita,

ma soprattutto fuori, per sensibilizzare il mondo sulla necessità della donazione di midollo osseo. L’ultimo “miracolo” del Tarci non è riuscito, ma stavolta non era proprio così importante: nella finale del Torneo di Mercallo, i “Cestisti” sono stati sconfitti dall’Azzimonti Team. Troppo più “in palla” i vincitori, più freschi, più atletici, più abituati a giocare insieme: nelle more del match, gli amici di Vaghi hanno però lottato come selvaggi, sfidando quella difesa a zona resa impenetrabile dalla braccia lunghe degli avversari, correndo come forsennati alla ricerca del contropiede, sputando l’anima nei rimbalzi. «È il coraggio che conta», anche sul campo.

Nel campetto sportivo sulla collina vicino al lago di Comabbio, il Tarci era un po’ ovunque: nell”’huddle” – il saluto all’americana prima dell’inizio del match – quell’«uno, due, tre Tarci!» che è risuonato potente; era negli occhi di papà Angelo Vaghi che, dalle tribune gremite, non si è perso un’azione di gioco che fosse una; era nel premio consegnato al miglior giocatore del torneo e conquistato da Marco Remonti degli Azzimonti a suon di “triple” e recuperi.

Era soprattutto nella consapevolezza di un qualcosa di grande che prosegue: «Tutti i giocatori che hai visto giocare stasera sono “tipizzati”, ovvero volontari che hanno donato il loro sangue per registrarne le caratteristiche genetiche ed essere potenziali donatori di midollo osseo – spiega Andrea Laudi, amico fedele di Vaghi e rappresentante dei “Cestisti fino al midollo” – Il percorso intrapreso quando Tarcisio era ancora in vita ci ha portato non solo a coinvolgere giocatori di fama come il Poz, il Menego, Gallinari e Bulleri, ma anche gli atleti di mezza provincia: tutto il mondo del basket si è stretto a noi».

Il viaggio è lungo, il nemico infido e purtroppo ben attrezzato: le probabilità di compatibilità tra midollo osseo sono in media una su 150.000. Ciò che consola è sapere che esiste la rete Admo che ha un bacino di utenza livello mondiale; ciò che ristora l’anima in una nottata piena di zanzare è vedere che esistono persone come Andrea e tutti gli altri: «Sono ragazzi splendidi – afferma il papà di Tarcisio – Continuano a mettere tempo e vigore per una buona causa nonostante il passare degli anni e gli impegni sempre più difficili da conciliare».

In una serata che ha visto anche il ricordo di Gabriella Penna e la premiazione del giovane Giulio Dressino – fresco di medaglia d’oro agli Europei Under 23 di canoa – direttamente dalle mani dell’assessore regionale allo Sport Antonio Rossi, c’è spazio pure per un gustoso aneddoto che porta un altro sorriso al pensiero del Tarci: «Magnano (di cui Vaghi è stato assistente a Varese ndr) parlava solo spagnolo – racconta papà Angelo – Mio figlio, nei timeout, aveva pochi secondi per tradurre agli americani in inglese tutti i dettami del coach. Un casino infernale».

Poteva Tarcisio essere spaventato da una bazzecola del genere?

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