«Resistenza e ottimismo Come i grandi innovatori»

Il Chief Design Officer di PepsiCo insegna e si racconta ai giovani aspiranti designer

«From Varese to New York and back»: Mauro Porcini, Chief Design Officer di PepsiCo, ha raccontato il design in uno degli appuntamenti clou della kermesse varesina dedicata all’innovazione. «Quello che vorrei condividere con voi oggi è il lavoro che sto facendo in PepsiCo – ha detto Porcini in un Salone Estense gremito di pubblico – Vorrei spiegare perché il design sta assumendo così tanta rilevanza nelle aziende e come ho portato la mia italianità e varesinità in PepsiCo». Per farlo è partito da lontano. «Sono nato a Gallarate e a 5 anni mi sono trasferito alle Bustecche. Lo dico sempre perché Varese ha contribuito a definire quello che sono adesso, è parte della mia ricchezza culturale anche se l’ho scoperta a 23 anni, quando me ne sono allontanato per la prima volta».

Mauro Porcini oggi fa il Chief Design Officer di PepsiCo, un’azienda di food&beverage da 63 miliardi di dollari (Coca Cola è a 43 miliardi!), con 250 mila impiegati e titolare di 22 brand sopra il miliardo di dollari e 40 brand che sono tra 250 milioni e il miliardo. Ma cosa vuol dire fare design per un’azienda di snack e bevande? «Non bisogna intendere il design come solo quello di prodotto, quindi packaging e comunicazione. Il design sono le persone e fare design vuol dire essere focalizzati su quello che le persone vogliono, desiderano e sognano». Pare semplice, ma in uno scenario che sta completamente cambiando ci sono tutta una serie di forze da tenere in considerazione. «C’è internet con l’accessibilità globale alla conoscenza e all’acquisto e poi ci sono i social media che stanno filtrando e amplificando informazioni rilevanti per noi.

Quindi se in passato le aziende creavano brand attraverso una pubblicità unidirezionale, televisiva, imponendo un messaggio, oggi come oggi questi brand non sono più attori della conversazione ma l’oggetto e quindi si devono guadagnare il diritto di far parlare di se». Ed è questo il grande cambiamento che sta avvenendo: dal marketing verso il design e i brand devono essere attivati a 360 gradi. «I consumatori non comprano più solo prodotti, ma significato, esperienze e storie autentiche».

Come disegnare quindi queste esperienze? «Ci sono due livelli di comunicazione da cui partire: Il primo deve tenere in considerazione che quando si compra un prodotto, si vuole avere quel brand perché richiama ad un rapporto intimo ed emozionante. Il secondo riguarda la storia che quel prodotti racconta sul consumatore al resto del mondo. E poi ci sono tre fasi d’interazione tra le persone e il mondo dei brand: la relazione viscerale, l’interazione razionale e la relazione espressiva». Sembra tutto molto schematico ma in realtà c’è una grande variabile: «i processi sono degli strumenti, come un pennello, ma poi mettilo in mano ad Andy Warhol e vedi la differenza. Il fattore umano, la persona, il designer è quello che fa la differenza in questi processi. Io me ne sono reso conto molto presto che la definizione di chi è una persona è molto importante nelle aziende Americane».

Facile a dirsi quando si è un affermato vulcano di idee e un collezionista di successi, ma l’ispirazione non è così facile da trovare «L’ispirazione la trovate dentro voi stessi – ha detto ai giovani aspiranti designer in sala – è la capacità di essere curiosi, di meravigliarsi di ogni cosa. Resistenza e ottimismo sono le caratteristiche dei grandi innovatori. E io mi sto divertendo tanto in quello che sto facendo». Un’iniezione di ottimismo che ha contagiato tutto il pubblico presente in sala, che ha celebrato Porcini con una standing ovation al termine dell’incontro.