«Insieme possiamo salvare l’Italia»

Il sindaco di Uboldo Lorenzo Guzzetti chiarisce il suo concetto di “comunità” dopo il suo appello su Facebook

«Forse abbiamo smosso l’Italia». Se i social, se Facebook, se la miriade di commenti e le visualizzazioni, se le condivisioni e la ripresa da parte di tutti gli organi di informazione sono il nuovo megafono per spronare il popolo, allora Lorenzo Guzzetti ha fatto il primo importante passo in avanti.

Anzi, «gli italiani l’hanno fatto». Perché il suo decalogo antipanico sulla neve e il successivo invito alla ricerca di un senso di comunità postati sulla sua pagina Facebook ha raccolto praticamente solo commenti positivi. Come una pallina da ping-pong, le sue parole sono rimbalzate ovunque. E se in un primo momento la partita si è giocata entro i confini locali della sua Uboldo, in poco tempo la portata si è allargata, diventando un match a tutto campo. Il messaggio che il sindaco ha rivolto ai suoi concittadini è stato condiviso da colleghi di paesi limitrofi ma anche da sindaci dei diversi comuni d’Italia, alimentando, di fatto, quello che secondo Guzzetti manca agli italiani, ovvero «un senso di comunità diffuso e qualcuno che dica le cose come stanno, senza peli sulla lingua».

Il messaggio che voglio far passare è che esiste un’Italia molto migliore di quella attuale. Prima del post sulla neve ero molto scoraggiato, poi però con i messaggi privati e i commenti ho capito che gli italiani hanno bisogno di gente che parli chiaro: così si cambia l’Italia e si smette di fare la politica della convenienza. Quello di cui abbiamo bisogno è questo. O ci togliamo da quell’individualismo assurdo che ci sta facendo del male oppure ci distruggeremo. Serve ritrovare il senso di comunità e quel senso di voler vivere insieme affrontando il quotidiano e i problemi di tutti i giorni insieme. Di metro in metro, di chilo in chilo potremo sistemare Uboldo e l’Italia.


Così sembra. A Uboldo questo senso di comunità c’è ed è forte. Così come in tutti i piccoli paesi a misura d’uomo dentro cui viviamo. E infatti mi sono arrivati molti messaggi dei colleghi da diverse parti d’Italia che hanno condiviso il senso del messaggio. Da Uboldo siamo arrivati a tutto il Paese e la cosa positiva che ho apprezzato di questo post e della “fama” che ne è derivata è che forse abbiamo capito che gli italiani vogliono qualcuno che dica le cose come stanno. Serve gente che parli chiaro e ciò può succedere solo se ritroviamo il senso della comunità, il senso dell’appagamento di vivere insieme contro la filosofia di chi pensa solo per se stesso: se capiamo quindi che lo Stato non è un’entità terza, ma che lo Stato siamo noi.

È vero, ho ricevuto tantissime conferme, sia dai cittadini che dai colleghi di tutta Italia. Addirittura ho qui un messaggio della figlia di un sindaco che dice che mi dà ragione e con lei anche suo padre. Qualcosa sta cambiando? Può essere, questo forse è il primo passo per iniziare a dirci che questa cosa non può andare avanti e che non noi posiamo andare avanti così. Gli italiani vogliono persone che parlino chiaro. Forse qualcosa si sta muovendo, finalmente!

Con queste modalità molto schiette e molto dirette siamo riusciti a fare un bel lavoro in questi anni. Ho sempre avuto questo rapporto onesto e senza peli sulla lingua e questo potrebbe essere negativo, magari qualcuno non apprezza ma ci sono ancora tanti politici che vivono dicendo ai propri cittadini quello che la gente vuol sentirsi dire e io non ci sto. Qualcuno mi ha scritto che mi vogliono in Parlamento: forse però

è il Parlamento che non vuole me. La vera difficoltà è che mancano sopra di noi persone che siano passate dai nostri incarichi, dai nostri problemi. Per esempio, se dall’alto ci dicono che dall’oggi al domani 130 nullatenenti diventano residenti, che ne sanno loro di quanto e come graverebbe questa situazione sulla comunità? Chi è lassù non capisce che cosa vuol dire caricare un Comune di 130 persone senza reddito e senza lavoro. Non lo dico assolutamente per cattiveria, anzi, ma lo dico per spiegare che prima di agire bisogna conoscere bene ciò su cui si andrà a lavorare. I meriti vanno presi sul campo. La Prima Repubblica aveva tanti difetti ma un grande pregio: per arrivarci si doveva fare la gavetta. Così quando toccavi qualcosa, sapevi bene cosa stavi toccando: oggi invece no. Siamo a questo livello, siamo in mano a gente che non padroneggia la materia e che dice ai cittadini solo ciò che a loro può far comodo.

L’abbiamo abituata così in tutti questi anni. Se ho vinto per tre volte le elezioni dal 2007 significa che questa filosofia è vincente.