Un viaggio nell’orrore della disumanità. La grande lezione di vita di Domenico Quirico

L’inviato di guerra è stato tra gli ospiti di punta della prima edizione del VareseFestival

«Il giornalismo ha fallito. Se non riusciamo a trasformare i nostri articoli, quello che scriviamo, in un’azione concreta, che venga portata avanti dall’opinione pubblica, significa che il nostro mestiere non funziona più».

Domenico Quirico, caposervizio Esteri de La Stampa, storico inviato di guerra, in prima linea da sempre, ha vissuto sulla sua pelle quello che è l’orrore. La disumanità che qui, nell’Occidente per il momento ancora tranquillo, siamo abituati (e quasi annoiati a vedere attraverso il grandi filtro dello schermo televisivo, di internet. E comunque con la distanza del racconto.

Quirico è stato l’ospite d’onore della seconda serata della tre giorni del VareseFestival, la grande kermesse culturale che ha avuto luogo nel fine settimana dal 21 al 23 luglio, coinvolgendo un grandissimo numero di varesini.

Quirico ha portato la sua testimonianza diretta del Male che si sta consumando in Siria.

Nel 2013 è stato per 152 giorni ostaggio di diversi gruppi integralisti, prima della sua liberazione. Nel 2011 ha compiuto il viaggio con i migranti, per vivere sulla propria pelle quella che è l’esperienza della traversata del Mediterraneo.

Anche se, sottolinea, «non sarà mai possibile per noi capire cosa significhi essere un migrante, fare un viaggio che inizia dal cuore dell’Africa e dura cinque anni. La traversata su quelli che noi chiamiamo barconi è solo l’ultima parte, quella più breve. C’è prima tutta la lotta per riuscire ad arrivare sulla costa. E queste sono persone che non hanno niente. Che cercano anche dei passaggi in auto. E se lo trovano, come pensate che se lo paghino? Come pensate che una donna si possa pagare questo passaggio?».

Parole dure, che aprono gli occhi su quello che non vogliamo vedere. Su come sia ancora feroce il mondo nel quale viviamo, su come questo piccolo angolo che chiamiamo Occidente, che crediamo sia ancora libero, assomigli sempre di più ad una sorta di “riserva indiana” momentaneamente immune, ma fino ad un certo punto, alla barbarie, agli orrori che avvengono a poca distanza da casa nostra. Gli orrori della Siria. Dopo la sua prigionia, Quirico ha scritto un lungo reportage per La Stampa. Un passaggio è molto forte, quando racconta che, a parte una telefonata, lui e gli altri sequestrati non hanno mai avuto gesti di pietà. Nemmeno dai vecchi e dai bambini.

E a domanda risponde: «Non certo perché quelle siano persone cattive. Ma quando vivi nella guerra, in quelle condizioni, da anni, non puoi mostrarti debole. Se ti mostri deboli, se non ti comporti in maniera feroce come gli altri, vieni spazzato via. Vieni ucciso».

Questo è l’orrore che abbiamo alle porte. Questo è l’orrore che l’odio e la sete di potere di chi usa la religione per schiacciare l’altro, per predominare sui propri simili sta diffondendo nel mondo. E il giornalismo deve essere uno strumento per far aprire gli occhi. Ma il giornalismo è in crisi. La nostra società è in crisi. La risposta? Certo non quella di gettare la spugna o arrendersi. Quirico non lo ha fatto.