L’addio a Cajo. Tra lacrime, amici e il suono del silenzio

La famiglia, i fonici, i musicisti: ci sono tutti per l’ultimo, commosso, abbraccio ad Andrea Cajelli

È morto Andrea Cajelli, è morto Andrea Cajelli, è morto Andrea … Cajo, addio.

Un’eco silenziosa attraversa i cappotti e sferza i cuori nel piazzale della parrocchia di Varano Borghi. Un silenzio assordante che attanaglia tutti, amici e astanti, stretti intorno alla famiglia e alla bara di Andrea, semplice e pulita, ricoperta di fiori bianchi. Non ci sono parole per descrivere l’atmosfera che si respirava ieri pomeriggio ai funerali di Andrea Cajelli, proprietario della studio di registrazione “La sauna” di Varano Borghi. Un terribile infarto se l’è portato via martedì, a soli 41 anni.

La morsa del dolore, presente e ingombrante, ha asciugato le gole e riempito gli occhi di lacrime. Poca, pochissima la voglia di parlare. Grande, grandissimo invece il desiderio di essere lì, vicini, di stringersi, abbracciarsi, ritrovarsi.

Perché sono tante le persone per cui Cajo è stato prezioso.

Andrea faceva un lavoro bellissimo, dava vita alla musica e realizzava sogni. E i musicisti, i tecnici, gli appassionati e i professionisti hanno partecipato numerosi alle esequie.

Prima una lunga attesa sul piazzale antistante la parrocchia, attoniti e immobili, anche quando la bara si trovava già dentro la chiesa, in molti ancora esitavano a muoversi e ad entrare. Il silenzio dominava su tutto. Quando ha inizio la funzione le navate si riempiono e l’ambiente non piccolo della parrocchia di Varano Borghi si fa gremito. In prima fila ci sono i familiari e gli amici più stretti e sembra che la chiesa intera si proietti verso di loro, come a volerli abbracciare, ma con discrezione. La liturgia semplice, essenziale. Don Antonio, parroco di Varano Borghi, celebra una messa senza orpelli, senza fiori superflui e senza eccentricità, a cui tutti partecipano con il cuore, trattenendo a stento la commozione.

Viene annunciato che il corpo di Andrea verrà cremato e così, all’uscita dalla chiesa, mentre il carro funebre si allontana, tutti gli altri rimangono lì. C’è chi abbraccia Chiara, la sorella, e chi la mamma di Andrea Cajelli. C’è chi si asciuga le lacrime, chi fuma nervosamente e chi, senza più attendere nulla, semplicemente sta, a fare i conti con il proprio lutto.

Tra le neve e il ghiaccio dello spiazzo ombreggiato, sembra che nessuno abbia il coraggio di andarsene, come se quel gesto significasse voltare le spalle a un amico, lasciarsi indietro qualcosa che non dovrebbe, non dovrebbe affatto, rimanere lì.

La morte è sempre inaspettata, ma quando colpisce così, un uomo pieno di vita, idee e progetti, quell’aggettivo assume una forma drammaticamente concreta. Prende le sembianze di una piazza piena di gente che se ne sta così, come imbalsamata, a soffrire.

Uomini e donne che con Cajo hanno condiviso visioni, armonie, suoni. Amici, come Francesco Brezzi, musicisti, come Dente, i Bachi da Pietra, i There will be blood e tanti altri, e ancora i tecnici e i fonici che con Andrea lavoravano gomito a gomito: su quel piazzale ci sono tutti.

Proprio Brezzi lo aveva ricordato, ieri, sulle nostre colonne: «Andrea era schivo e di un’umiltà quasi eccessiva rispetto alle sue capacità. Ha fatto tanto per me e per molti altri».

Un pezzetto di mondo della musica indie italiana e varesina si è riunito ieri intorno al vuoto lasciato da Andrea Cajelli. Colmarlo sarà impossibile. n