L’immigrazione «porta benefici» al Regno Unito, ma «deve essere controllata, giusta e centrata attorno ai nostri interessi nazionali». E allora no a tetti sui numeri di ingressi o a «freni d’emergenza», come si era in un primo momento ipotizzato, ma sì a una stretta per contenere gli ingressi da altri Paesi Ue. Stretta che il premier britannico David Cameron disegna annunciando limiti per l’accesso a sussidi, benefit e crediti d’imposta: al welfare in sostanza.
Così il leader conservatore delinea la sua strategia,
limando quella che appare come un’iniziativa elettorale forte attraverso un esercizio di equilibrismo.
Da una parte il riconoscimento esplicito che il principio europeo di libera circolazione resta cruciale, essendo parte di quel mercato unico tanto caro a Londra; dall’altra, però, il monito ai partner europei: ascoltateci, dice loro Cameron, perché «è tempo di parlare» di questo tema e «un dialogo non può cominciare con la parola no». Poi il premier Tory ribadisce: il negoziato per cambiare il rapporto tra Londra e Bruxelles ci sarà. Così come vogliono i britannici. E in caso di fallimento, minaccia, «nulla è escluso».
È qui che Cameron alza il tiro, adombrando che se non dovesse portare a casa il risultato promesso alla pancia dei suoi elettori, una campagna per l’uscita dall’Unione potrebbe non essere più un tabù. Non lo è già per l’ala euroscettica del Partito conservatore, di certo non lo è per l’Ukip di Nigel Farage, la cui concorrenza incombe come un incubo a sei mesi dalle elezioni politiche (il 7 maggio 2015) con cui Cameron spera di rimanere a Downing Street. Se così sarà, ha promesso ai britannici, rimedierà all’obiettivo mancato di contenere l’immigrazione netta a un limite di centomila persone.
Mentre, secondo dati recenti, nell’ultimo anno il flusso nel Regno Unito è aumentato del 43% (fino a 260 mila). Bisogna «contribuire prima di ricevere» – ha incalzato ancora il premier – per questo l’impegno è di modificare la prassi attuale in cui l’accesso a sussidi e al credito d’imposta è immediato, imponendo che i lavoratori siano stati impiegati nel Regno Unito per quattro anni prima di potervi accedere.
Un’altra restrizione riguarderà coloro che giungono nel Paese in cerca di lavoro e che, al contrario di quanto avviene attualmente, secondo la proposta di Cameron non avranno più accesso immediato al sussidio di disoccupazione e se risulteranno ancora senza impiego dopo sei mesi dall’arrivo dovranno lasciare il Paese.
Misure che in sostanza sembrano avere come bersaglio i lavoratori meno qualificati e i tanto temuti «arrivi dall’Est». La promessa di Cameron mira inoltre a limitare presunti abusi alla libera circolazione, creando un sistema più rigido, e che coinvolga tutta l’Ue, con maggiori poteri per le espulsioni.
Le reazioni a Londra si giocano sul fronte interno e nella lotta elettorale già entrata nel vivo: dall’opposizione il leader laburista Ed Miliband accusa il premier di non essere credibile: «La gente non crederà alle sue promesse quando ha già fallito sulle precedenti». Più colorito Nigel Farage: «Cameron deve le sue scuse ai britannici per le promesse mancate sull’immigrazione».