VARESE – Non sono sono stati loro. Ne sono convinti i giudici del Tribunale di Varese che hanno assolto il 23enne di Tradate Anthony Gregory Fusi Mantegazza e il marocchino Hamza Elayar, di 27 anni, dall’accusa di violenza sessuale per gli stupri avvenuti il 3 dicembre 2021 sul treno Varese-Milano e nella sala d’aspetto della stazione di Venegono Inferiore ai danni di due giovani donne poco più che ventenni.
Fusi Mantegazza ed Elayar sono stati prosciolti per non aver commesso il fatto dal collegio giudicante presieduto da Cesare Tacconi che ha respinto le accuse formulate dal pm Lorenzo Dalla Palma, il quale aveva chiesto la condanna a otto anni e un mese di reclusione per il tradatese e nove anni e due mesi per il nordafricano.
Si conclude così il primo atto di un processo drammatico e difficile in cui hanno pesato le difficoltà delle vittime nel confermare il riconoscimento dei presunti stupratori. Ora si attendono gli sviluppi di una vicenda orribile con due ragazze che attendono verità e soprattutto giustizia per l’orrore subito.
Gli imputati erano in carcere dal 5 dicembre, da quando erano stati sottoposti a fermo dalla polizia ferroviaria di Varese e dai carabinieri di Saronno, con l’accusa di aver aggredito e stuprato una ventiduenne che si trovava da sola in una carrozza su un convoglio Trenord della tratta Milano Cadorna – Varese Nord. I due erano accusati anche di una tentata violenza su una coetanea dell’altra ragazza, pochi minuti più tardi alla stazione di Venegono Inferiore. Delle indagini difensive gli avvocati hanno smontato l’impianto accusatorio dimostrando, tra l’altro, che Fusi Mantegazza non era a bordo del treno durante la violenza.
“Finalmente ci hanno dato ragione – ha affermato l’avvocato Mauro Straini che insieme ai colleghi Eugenio Losco e Monica Andretti difende il giovane tradatese -. E’ stata riconosciuta l’innocenza del nostro assistito, il quale non era su quel treno, come risulta da prove oggettive”. Il legale ha ricordato, per esempio, che “non appartiene” al 22enne, il Dna individuato sul cappello sequestrato e ritenuto appartenere a uno dei due stupratori in base ai filmati delle telecamere di sorveglianza. I tre legali, inoltre, avevano svolto indagini difensive per dimostrare, dall’analisi della “cronologia degli spostamenti dell’account Google registrato” sul telefono del loro assistito, che il giovane al momento delle violenze era in un locale di Tradate.