Il Brasile ormai è lontano, solo a livello fisico, ed un’altra Paralimpiade si è chiusa, la terza consecutiva per Roberto Bof. La voce al telefono è stanca, ma è una stanchezza felice, colma di gioia e di belle cose. Perché al termine di un viaggio così, è sempre più giusto pensare ai ricordi positivi, ai momenti che ti hanno fatto balzare il cuore, ai sorrisi dei brasiliani, alla forza di questi ragazzi e alle loro storie, che magari conosci già ma impari ogni giorno di più ad apprezzare. Le nostre parole valgono poco rispetto ai ricordi, agli appunti di una Paralimpiade.
Ce li regala proprio Roberto: «Diciamo che c’è stanchezza anche perché a Rio si è dormito pochissimo. Vai avanti tutti i giorni per inerzia. Ma alla fine dei conti, è stata un’esperienza favolosa, ho anche fatto una foto con Zico a Casa Italia. E anche se i primi giorni sembravano logisticamente difficili, alla fine non ho nulla da dire nemmeno su questo. I brasiliani hanno fatto il massimo per ciò che potevano. Piuttosto mi preoccuperei per loro adesso,
quando i riflettori si spegneranno. Perché i carrarmati per strada ci sono, lo spiegamento di Polizia è massiccio. Tornando a noi, è chiaro che dopo aver vissuto Londra tutto il resto passa in secondo piano, però Rio a mio parere è già parecchi gradini sopra Pechino come organizzazione e comodità. É una città enorme, me ne sono accorto sorvolandola lunedì pomeriggio appena siamo decollati in aereo. Immensa, non finisce mai». La soddisfazione nasce dall’aver visto tante cose belle: «L’unica cosa che devi fare è scegliere, perché devi per forza rinunciare a qualcosa, a qualche gara. Non puoi voler vedere tutto, non è possibile logisticamente. Allo stesso tempo non bisogna ridursi come alcuni giornalisti che passavano la giornata chiusi in una sala stampa. Io non sono andato a Rio per dare gli scoop sulle vittorie, volevo cercare di viverla al meglio. Prima di partire, lo ammetto, mi ero fatto dei calcoli diversi. Però, viste anche le difficoltà per andare da un posto all’altro, ho visto anche di più di quanto mi sarei aspettato dopo i primi giorni».
Trentanove medaglie sono trentanove storie da ascoltare, magari dai diretti interessati: «I ragazzi sono spettacolari, molte storie già le conoscevo ma poi trovarseli lì di fronte, che magari ti battono il cinque, ti fanno una battuta e ti raccontano di loro, ha un valore diverso». C’è il bello, ma anche qualche nota stonata: «Dopo un viaggio così bello non ho nemmeno troppa voglia di prendermela con qualcuno. Ma in certi momenti a scorrere il dito sui social ho provato fastidio: quelli che si lamentano perché a questi ragazzi danno poca visibilità, quelli che si lamentano perché li pagano meno dei normodotati. Tutti che si lamentano, mai nessuno che dica grazie a chi si fa il mazzo affinché tutto questo sia possibile. Tanti hanno criticato la Rai per chissà quale motivo, io invece a loro faccio i complimenti perché li ho visti lavorare e anche loro si sono fatti il mazzo. Quindi ora tutti coloro che si lamentavano, li aspetto a dare concretamente una mano per la crescita dello sport paralimpico. Perché dobbiamo fare tutti qualcosa, un salto di qualità». Senza fare distinzioni per nessuno, ci sono però dei momenti che resteranno nel cuore di Roberto e anche di chi le Paralimpiadi le ha seguite da casa facendo il tifo: «La medaglia d’oro di Federico Morlacchi chiude un cerchio, perché ha dimostrato al mondo di essere un fuoriclasse assoluto. Gli allenatori di tutto il mondo lo ammirano perché va a medaglia usufruendo di risorse minime rispetto ai suoi avversari. E la Polha fa i salti mortali per lui e per tutti gli altri. Anche l’oro di Bebe è stato straordinario, ma per come è arrivato mi ha emozionato di più il bronzo. Immaginate: lei, Bebe, la più giovane del gruppo sale in pedana sotto di tre stoccate, con gli occhi di tutti addosso, e rimonta fino al bronzo. Straordinario! Oppure la storia di Martina Caironi e Monica Contrafatto, che ha iniziato a correre proprio guardando Martina e a Rio è arrivata al bronzo. Davvero, è stata un’esperienza stupenda».