Caro Andrea,
ho letto con interesse il tuo editoriale sul valore aggiunto delle telecronache della TV Svizzera. Beh, hai ragione da vendere.
Sai a cosa ho pensato, mentre ti leggevo? All’audace parallelo tra le partite di calcio e l’Arcisate Stabio. Non prendermi per matto. Ma la rappresentazione plastica del distinguo sta tutta lì. Di qua, le passerelle, i tagli del nastro, i sopralluoghi, i sorrisi, le strette di mano, le scorte a sirene spiegate,
i comunicati stampa a getto continuo. Coi risultati che ben conosciamo. Di là, poche parole, basso profilo e lavori finiti in tempi utili. Apparenza contro concretezza. Esercizio di stile contro pragmatismo. Non conosco a sufficienza il calcio per entrare nel merito delle competenze. Ma conosco a sufficienza la televisione per dire che il problema, caro Andrea, sta tutto nell’ormai collaudata abitudine nostrana di gridare ciò che andrebbe sussurrato, gesticolare quando bisognerebbe restare fermi, martellare quando solo un lavoro di cesello consentirebbe la forma migliore. Già, la forma. Che talvolta è anche sostanza. Nelle telecronache come nelle inchieste televisive. Nei salotti calcistici come in quelli politici. Un giorno un collega di lungo corso mi disse che la buona riuscita di un talk-show si misura a distanza di qualche ora dalla conclusione: se ricordi i contenuti e le opinioni emerse, il talk è un buon prodotto. Se la cosa che ricordi meglio sono le urla degli ospiti e la performance del conduttore, qualcosa non va. Ecco, forse è proprio questo il punto. Siamo assuefatti a una Tv (nazionale) sempre più comunicativa e sempre meno informativa, forse per un bieco cortocircuito che spinge i grandi network a inseguire l’anarchico martellamento di post e tweet, anziché convogliarne il potenziale entro un seminato che spieghi, illustri e commenti, invece di ostentare, pavoneggiarsi e inveire. È giusto, mi domando, pretendere il fair-play nei rettangoli di gioco, e poi ripiegare sul “bad play” in cabina regia?