LUINO Super franco e stipendi d’oro per i frontalieri. Ma non è tutto oro quello che luccica. Con l’apprezzamento della divisa elvetica, pari al 10% da inizio anno nei confronti dell’euro, sono infatti cresciute le buste paga dei Varesotti e dei Comaschi impiegati in Ticino. D’altro canto però questo fenomeno inizia a creare più di una preoccupazione per le imprese esportatrici e per i sindacati. I primi campanelli dall’allarme, infatti, suono suonati dai cantoni svizzeri al confine con Germania e Francia.
Dove sono saliti alla ribalta delle cronache casi di società che hanno deciso di retribuire i dipendenti frontalieri in euro, oppure di ridurre gli stipendi per far fronte agli effetti dell’apprezzamento del franco. Episodi che non sono isolati, sottolineano i sindacati. Tra i più emblematici quello dell’azienda di logistica Stöcklin, con sede nel comune solettese di Dornach, a sud di Basilea. Che, in base alle cronache dei media elvetici, avrebbe scritto a 120 dipendenti frontalieri che vivono in Francia e in Germania per proporre un nuovo contratto di lavoro. Che prevede un taglio salariale del 6%, pari a una riduzione mensile media di 300 franchi. Nella lettera, la direzione argomentava che il personale in questione aveva beneficiato di un aumento del 12% del potere d’acquisto, dato che gli stipendi sono pagati in franchi svizzeri.Altre aziende, invece, come la tipografia Karl Augustin, con sede a Thayngen nel cantone Sciaffusa, hanno deciso di pagare i loro lavoratori transfrontalieri in euro.
Ovvie le proteste dell’Unione sindacale svizzera. «Perché – spiegano – quando abbiamo aperto il nostro mercato del lavoro alla libera circolazione abbiamo garantito che gli stipendi svizzeri sarebbero pagati in franchi». Ma episodi simili, del resto, erano già avvenuti negli anni ’90 quando sempre i sindacati svizzeri avevano denunciato casi di dumping salariale da parte di industrie dell’abbigliamento in Ticino. Che cercavano di rimunerare il proprio personale in lire italiane dopo la discesa della nostra moneta. Così l’attenzione resta altissima. Logico quindi che anche lungo il confine con la nostra provincia l’attenzione sia massima. «Per ora – fa chiarezza Mario Bertana, indunese al vertice del sindacato Unia Ticino-Moesa – non abbiamo avuto alcuna conferma di questo rischio nel Canton Ticino. Era stato ventilato solo da due aziende ma, dopo aver chiesto un confronto, si è subito esclusa la possibilità di ricorrere a questo metodo. E anche da un recente incontro che ho avuto con i vertici dell’Aiti, l’Associazione industrie ticinesi, sono arrivati segnali confortanti. Per il momento non c’è alcun rischio per i nostri frontalieri di decurtazioni dello stipendio o pagamenti in euro. Certo la guardia sarà sempre alta».
b.melazzini
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