TRADATE A volte i fantasmi del passato ritornano. La Corte dei conti di Milano, con sentenza 792 del 2011 ha condannato l’ex assessore tradatese Pilade Bruni (all’epoca esponente del Psi) a risarcire il Comune di Tradate con una somma di 25.822 euro, oltre agli indici Istat, agli interessi e alle spese di giudizio. Si tratta del risarcimento dovuto per il danno cagionato al Comune «in virtù delle condotte corruttive» di cui Bruni era stato riconosciuto colpevole dal tribunale di Varese con una sentenza del maggio 2002.
Dopo il primo grado di giudizio ve ne fu un secondo, nel 2006, che nella sostanza confermò l’esito del primo grado, riducendo le pene. Nel 2008, la corte suprema di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata perché i reati contestati erano ormai prescritti. La stessa ha però confermato tutti gli effetti giuridici della componente civile «in ordine alla sussistenza della responsabilità risarcitoria». Da qui l’azione della Corte dei Conti, che ha ritenuto di dover stabilire la responsabilità amministrativa di Bruni, che con le sue condotte avrebbe arrecato un danno al comune di Tradate.
L’amministrazione comunale si è limitata ad emettere una delibera di Giunta, datata 18 gennaio 2012, per prendere atto della questione e prevedere un apposito capitolo nel bilancio in corso di formazione: «È una vecchia storia – ha detto il sindaco Stefano Candiani – non mi sembra il caso di commentare».
Una vecchia storia che risale ai tempi di Mani Pulite, quando venne a galla il malcostume della politica italiana a tutti i livelli e ogni giorno si scopriva un nuovo caso di corruzione nella pubblica amministrazione. Un terremoto politico giudiziario che non risparmiò Tradate, dove emerse un giro di bustarelle per accaparrarsi alcuni lavori pubblici, in particolare per la realizzazione della pavimentazione di piazza Unità d’Italia e per la fognatura di via Monte Cassino.
Due appalti per cui un imprenditore ammise di aver pagato una tangente del 3 per cento del valore delle opere, soldi finiti poi nelle mani di Bruni: «il danno erariale – si legge nella sentenza – non può che essere determinato in misura pari alle tangenti erogate (25 milioni di lire), un costo scaricato dall’impresa sul corrispettivo d’appalto». La sentenza della Corte dei conti ripercorre l’intera vicenda, citando nomi e fatti che sono ben impressi nella memoria collettiva dei tradatesi.
Alessandro Madron
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