Tre mesi fa, feriti dall’attentato al museo del Bardo di Tunisi, avevamo scritto un editoriale. Ci era venuto fuori dal cuore e parlava di rabbia ma anche di speranza, di paura ma anche di passione. Ma soprattutto parlava di una terra bellissima, quella di Tunisia, e della voglia di non darla vinta ai terroristi. A quei bastardi. Perché chi scrive è innamorato della Tunisia, ogni anno ci va per trascorrere le sue vacanze e per calarsi nella meraviglia del suo popolo,
dei suoi paesaggi, del suo mare, del suo deserto e dei suoi profumi.
In quell’editoriale, feriti dal dramma di Tunisi, avevamo urlato forte la nostra voglia di rispondere ai terroristi con l’unica arma a nostra disposizione. Loro tentano di imporci la paura, noi possiamo solo con il coraggio. Perché è la cosa che quei maledetti non sopportano, è la cosa che li manda fuori di testa. Avevamo detto che, quest’estate, saremmo tornati in Tunisia: e che ci avremmo portato anche la nostra famiglia (una moglie, due bambine di 2 e 4 anni). L’avevamo detto convinti e decisi: tanto che giusto due giorni fa avevamo perfezionato l’acquisto dei biglietti aerei. Sì: saremmo andati in Tunisia, perché le vostre minacce non fermeranno la nostra bellezza. Perché i vostri colpi di Kalashnikov non uccideranno la cosa più preziosa che abbiamo e che voi nemmeno sapete cosa sia: la libertà.
Poi, è successo ancora. Tutti quanti abbiamo visto le immagini, crude e senza veli. Tutti quanti abbiamo immaginato quei momenti: un gommone che arriva dal mare, due uomini armati che iniziano a sparare all’impazzata sulla gente che sta prendendo il sole o fa il bagno. La morte. Il sangue. E tanta, tanta paura.
Paura negli occhi di chi ha vissuto quei minuti terribili, certo, ma paura (e quel fastidioso senso di impotenza) anche nei nostri occhi. I biglietti nel cassetto, e una sensazione mai provata che viene su dalla bocca dello stomaco. Una sensazione terribile. E la telefonata a casa: «No, stavolta non si va e chissenefrega se abbiamo già pagato. No: ci sono le bambine».
Insomma, hanno vinto loro? Chissà. Forse sì. Forse questa strategia del terrore, questa maledetta capacità di non farci mai sentire sicuri in nessun posto del mondo, questa idea di essere comunque e dovunque dei bersagli, alla fine ha colpito nel segno. Hanno vinto loro.
Oppure no, non hanno vinto loro maledizione. Semplicemente, il livello dello scontro si è alzato. Prima ci sembrava sufficiente spiattellare la nostra libertà di fronte a chi ci imponeva la morte. Ci sembrava sufficiente continuare a vivere come avevamo sempre fatto per non dargliela vinta. Probabilmente ora non basta più, o probabilmente non basta più già da un pezzo e noi poveri ingenui innamorati del mondo ce ne accorgiamo solo adesso. Probabilmente ora a difendere la nostra normalità ci deve pensare qualcun altro: e la rabbia di queste ore ci fa pensare che l’uso della forza stia ormai diventando un passaggio inevitabile.
Ci facciamo paura nel pensare queste cose. E mai come in questo momento ci sentiamo confusi, sballottati. Chiediamo aiuto a voi, carissimi lettori: che cosa fareste? Tenere duro, salire con la famiglia su quell’aereo per Tunisi e convincerci che il terrorismo non riuscirà a cambiare le nostre vite, oppure lasciare perdere? Perché stavolta, forse, quei porci hanno colpito per davvero.