Ho condiviso pienamente la decisione del mio direttore Sarah Varetto di non mostrare nel tg di Sky Tg24 la foto del corpicino senza vita del bimbo siriano sulla spiaggia. Una scelta che è figlia naturale della linea del nostro canale.
Adesso parla l’uomo. Quella foto ha squarciato il mio cuore portandolo fino alle lacrime. È un’immagine terribile che si è impadronita della mia tristezza, l’ha spremuta, l’ha trasformata nel senso compiuto del più limpido dolore. Ogni volta che me la sono ritrovata davanti ho ingoiato la mia incapacità di affrontarne la sostanza: troppo forte la sua verità. Per questo non mi curo del turbinare dei commenti sull’opportunità di pubblicarla o meno. Una giostra di parole destinata alla ruggine.
Mi sembra tutto inutile.
Mostrarla può servire a scardinare anche le coscienze più resistenti? Non credo. Anzi, penso possa ulteriormente segregarle, provocare un choc negativo, lame di ghiaccio a ibernare quelle stesse coscienze. Nella mia mente imperversa l’impetuoso vento del “perché”, nel mio cuore si muove inarrestabile la sofferenza: non so dare risposta né all’uno né all’altra. Eppure ho visto di tutto, nella mia vita, nel mio lavoro. Ma la foto del piccolo Aylan riverso sul bagnasciuga è troppo. Kierkegaard sosteneva: «Più profonda è l’angoscia, più grande è l’uomo». Ed io, oggi, davanti a questa immagine, mi sento grandissimo. P.S. Aylan, ti chiedo perdono.