Tom Dumoulin non ha vinto ad Oropa ieri, lo ha fatto a Castellania, alla partenza. Ha vinto fin dal mattino. Quando, dopo il foglio firma in mezzo a due ali di folla indescrivibili per entusiasmo e passione, ha deciso di defilarsi: è sceso dalla bicicletta per percorrere qualche decina di metri a piedi lontano dai curiosi e per recarsi ad omaggiare Fausto e Serse Coppi laddove sono sepolti, nel piccolo e stupendo borgo di Castellania, il paese più piccolo nella storia del Giro (90 abitanti) ad aver ospitato una partenza di tappa.
Un gesto straordinario, non dovuto e nemmeno scontato, soprattutto quando sei maglia rosa e puoi essere teso, perché sei consapevole che quel giorno tutti guarderanno ed attaccheranno te. La vittoria di ieri nasce lì, dal mattino, da quel gesto pieno di storia e di rispetto, di ammirazione. Un gesto da campione, premiato sul traguardo del Santuario di Oropa. Se vincerà il Giro, l’olandese volante, ancora non si sa: di certo ora ne è il padrone assoluto.
Ha unito due punti della storia del ciclismo e del Giro d’Italia: Castellania, casa di Fausto Coppi, ed Oropa, la Montagna Pantani. Ha trovato forza ed ispirazione a casa di Coppi, ha vinto da campione vero sul traguardo tanto caro a Marco Pantani. E sul porfido del Santuario biellese, si è imposto con intelligenza e sagacia tattica: non ha riposto agli scatti di Quintana ma gli è tornato sotto nel finale, con il suo passo, portandosi dietro gli altri. «Va impostata come una crono-scalata» aveva detto alla partenza, nei pressi del foglio firma. E così fa: riprende il condor colombiano e si abbassa, mani sul manubrio, posizione da cronoman. Fa lui il ritmo, quello che gli è più congeniale, e vince. Resiste anche all’assalto di Ilnur Zakarin nel finale, esce a poche decine di metri dalla linea del traguardo e agita il pugno di fronte ad una folla festante, che riempie il pratone dinanzi all’immenso Santuario.
Un arrivo pressoché identico a quello del 2014: Dario Cataldo era in testa a pochi metri dal traguardo e vedeva la vittoria, lo spunto decisivo di Battaglin fu molto simile a quello di ieri di Dumoulin. È stata la sua giornata perché nel finale è riuscito anche a mettere dello spazio concreto tra sé e Nairo Quintana che ai quattro chilometri dal traguardo sembrava prossimo a replicare quanto fatto sul Blockhaus, senza aver fatto i conti con chi rientrava da dietro.
Secondo al traguardo, come detto Ilnur Zakarin, dietro di lui un redivivo Mikel Landa e ancora più giù Nairo Quintana, in difficoltà nell’ultimo chilometro. Metri più indietro, arranca Vincenzo Nibali: il messinese prima cerca di non mollare un centimetro, poi è costretto ad alzare bandiera bianca e a vedere allontanarsi sempre più le ombre degli avversari. Il distacco cresce a dismisura nell’ultimo chilometro, quando gli altri volano e Nibali fuma, con il motore in panne. Si trascina al traguardo e arriva insieme a Franco Pellizotti, il suo luogotenente.
E così il Giro sembra avere un padrone, che non è forte solo a cronometro ma è in grado di dare paga a tutti anche in salita. «Non terrà in salita», «si staccherà subito», «non ha la squadra»: bene, ora Dumoulin comanda la classifica con 2’47” su Quintana, dovrà tenere e mostrare i muscoli anche nella terza settimana, che non presenta un metro di pianura. I campioni sono così: mostrano i muscoli quando serve, per lanciare dei segnali alla concorrenza. E si fanno amare dalla gente: come può un olandese scaldare il cuore di tutta Italia? Così, come ha fatto ieri, meritandosi gli applausi ed il calore di Oropa. Perché quando vinci in questo modo, scrivi il tuo nome sul libro della storia: nel giorno del ricordo, Dumoulin ha scritto una nuova pagina, bellissima. Per fortuna, di strada da percorrere ce n’è ancora tanta, tantissima: tutti attaccheranno all’arma bianca, anche da lontano. C’è un padrone, sì; ma Milano è ancora molto lontana.