«Per me tornare in Pallacanestro Varese è come tornare a casa. Quando poi c’è qualcuno che ti chiama a casa, e quel qualcuno è Toto Bulgheroni, non puoi che tornare di corsa e con grandissimo entusiasmo». Mario Carletti, storico collega del professor Enrico Arcelli, a cinque anni di distanza torna ad essere il medico sociale della Pallacanestro Varese: lui che lo è stato per trent’anni, non ha saputo dire di no al richiamo del Toto: «Ho
fatto il medico sociale per trent’anni, poi nel 2011 la società scelse di cambiare. Una decisione legittima, forse contestabili le modalità, ma io ho sessant’anni ora, ho fatto di tutto nella vita, comprese due Olimpiadi e questo ritorno non è una rivincita. Le rivincite non esistono, anzi ritorno con piacere e mi aggiungo al coro di chi fa le lodi di questo nuovo ciclo varesino che tanto bene sta facendo negli ultimi mesi».
Lo staff sanitario della Pallacanestro Varese che sarà composto dai medici dello sport dottor Mario Carletti e dottor Matteo Beltemacchi e dagli ortopedici dottor Mauro Modesti e dottor Daniele Marcolli. I fisioterapisti Mauro Bianchi, Matteo Bianchi e Davide Zonca insieme al preparatore atletico Marco Armenise, restano nell’organico. L’occhio attento del tifoso varesino avrà dunque notato di sicuro la presenza del dottor Carletti, un gradito ritorno, un’ennesima nota positiva in un’estate di entusiasmo cestistico che non si respirava davvero da tempo. Entusiasmo che non manca anche per il dottore: «Nello staff ritrovo ragazzi che sono stati miei studenti e che ho portato io in Pallacanestro Varese. Diciamo che non c’è nulla di nuovo. Per me la pallacanestro è il più bello sport al mondo, con mille sfaccettature, mille modi di approccio. Sono fermamente convinto che serva l’apporto di tutti, dal presidente in giù. Ognuno deve avere responsabilità. Qualcosa rispetto ai miei primi anni è cambiato però ammiro chi ha ancora voglia di continuare a tenere in piedi una struttura complicata come quella di una società di professionisti. Vorrei che tutti ci mettessero l’entusiasmo che merita un’iniziativa di questo tipo, perché ci vuole davvero cuore». Trent’anni da medico sociale non sono uno scherzo, gli aneddoti sono tanti, troppi da raccontare, però alcuni spiccano su altri: «Su tutti non posso non citare Gianmarco Pozzecco: nella finale scudetto del 1999, con le ossa del naso completamente rotte, cosa per cui una persona normale starebbe a letto a piangere per un mese, mi dice testualmente: “Non rompere i coglioni che voglio giocare”, più altre cose che mi tocca censurare».
Cinque anni lontano dalla panchina, quanto le è mancata? «Se devo essere sincero, non mi è mancata, semplicemente perché ho trovato il tempo di fare tante cose che prima non sarei riuscito a fare. Per esempio i weekend, le ferie, ciò che per trent’anni effettivamente mi era mancato. Questa è stata una piacevole parentesi in cui ho avuto modo di fare parecchie cose. Non voglio essere frainteso, perché come ho detto io torno con lo stesso entusiasmo che ho avuto quando a Venezia, nel 1981, Toto Bulgheroni venne a chiedermi se avessi voluto diventare medico della prima squadra. Siccome nella vita per me contano i rapporti personali, quando Toto è rientrato in Pallacanestro Varese, ho capito che anche per me era giunto il momento di tornare, e non ho potuto e voluto dirgli di no».