È morto Totò Riina e adesso abbiamo una certezza in più: se davvero esiste l’inferno, è lì che si trova il boss dei boss. Una certezza che non mitiga la tristezza nel constatare che in fondo, Riina, è morto da vincitore.
È morto da vincitore perché a sentire le parole della gente per le vie della sua Corleone ci si rende conto che nulla cambierà mai, in questo paese dove certe cose evidentemente sono radicate. È morto da vincitore perché il suo 41 bis è stato un 41 bis speciale, da privilegiato: andateci, per favore, andate a visitare il suo bunker sull’isola dell’Asinara. Andate a vedere la sua cella, il suo cortile per l’ora d’aria, tutto quello che a lui veniva concesso mentre agli altri no perché evidentemente, lui, aveva armi affilatissime per ricattare lo Stato e ottenere praticamente tutto quel che voleva.
Ed è morto da vincitore perché in tutti i suoi anni passati in carcere non ha mai fatto un passo indietro, non ha mai mostrato il benché minimo cenno di pentimento, non ha mai parlato.
Totò Riina si è portato con sé tutti i suoi segreti, tutti quanti: resteranno lì, sepolti sotto qualche metro di terra, in ottima compagnia. Funerale di un Paese in cui le verità muoiono con gli uomini che le nascondevano.