“Tranciare i rapporti tra mafia e politica”

BESNATE «Una candela accesa può accendere mille candele spente. Ma mille candele spente non ne possono accendere neppure una». Il teatro Incontro di Besnate, stracolmo di gente, venerdì sera non è riuscito a contenere la folla accorsa per ascoltare Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia assieme alla moglie e agli agenti della scorta il 23 maggio 1992. «In cosa credo? – gli chiesero un giorno nel corso di un intervista – Un giorno vidi nell’aeroporto

di Milano una frase di Kennedy: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, costi quel che costi. In questo sta la dignità della vita umana”. In questo credo». Una frase che Falcone scrisse su un pezzetto di carta che portava sempre con sé. Maria Falcone racconta episodi di vita quotidiana. I pomeriggi che il fratello passava a casa sua, assieme ai nipoti: «Era scortato e non sgarrava mai. Smise di andare al cinema, perché questo voleva dire svuotare dieci file di posti davanti e dietro a sé e lui non voleva dare disturbo. Scherzare coi ragazzi era la sua solo distrazione».
Sul palco, dietro Maria Falcone, ci sono i ragazzi dell’Istituto Figlie di Betlem di Besnate. La serata fa parte del percorso di educazione alla legalità, fortemente voluto dall’amministrazione comunale. Molti gli studenti delle scuole di Gallarate e Jerago presenti. Da anni Maria Falcone gira l’Italia per mantenere in vita la memoria del fratello, un servitore dello Stato ucciso dalla mafia perché faceva il proprio dovere.
«Negli anni ’80 Palermo era Beirut – dice Maria Falcone – Quando arrivavano le macchine della scorta c’era da avere paura. Si aprivano le portiere e spuntavano le mitragliette». La Sicilia di quegli anni: l’odore della polvere da sparo e del sangue, i morti ammazzati per le strade. «Quando Giovanni arrivò a Palermo, nell’80, nessuno parlava di mafia. È stato lui che ci ha spiegato come la mafia agisse e fosse organizzata».
E proprio per questo Cosa Nostra non poteva accettare che Falcone continuasse a lavorare. Un uomo che aveva come primo valore l’amore e il rispetto dell’altro. Che pensava che anche nel peggiore assassino rimanesse almeno un briciolo di umanità.
«Dopo la morte di Giovanni è scoppiata la rivolta» dice la signora Maria, riferendosi alle manifestazioni con cui la gente onesta di Palermo ha dimostrato la propria volontà di combattere la mafia. «Ora la situazione è molto migliorata, ma non abbiamo ancora vinto – continua – bisogna tenere alta l’attenzione». Secondo la sorella di Giovanni Falcone tutta la forza di Cosa nostra si sarebbe spostata nella ‘ndrangheta calabrese. «Bisogna tranciare i rapporti perversi tra mafia e politica, quel patto scellerato che scambia voti con favori, appalti e ricchezza». Perché se ci si mette d’accordo con la mafia bisognerà sempre ascoltarne le richieste. La professoressa Falcone rivolge un appello ai colleghi. «Fate capire ai ragazzi i valori della democrazia, insegnate l’amore per lo Stato». E ancora: «Ognuno di noi deve fare la propria parte, grande o piccola che sia». Un gesto che può addirittura sconfiggere la mafia.
Tiziano Scolari

e.romano

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