VARESE «Un conto sono i prodotti locali. Un conto i prodotti che con Varese non c’entrano nulla e che vengono venduti in sagre con fine di lucro che fanno concorrenza ai ristoranti, pagando meno tasse». Così Antonio Besacchi, vice presidente di Confcommercio Ascom Varese, ieri, a margine della presentazione dell’accordo stipulato a favore dei negozi e dei pubblici esercizi per l’acquisto dei prodotti della Cooperativa Latte Varese. Un accordo che prevede uno sconto del 10% e che è
stato pensato per aiutare i bar e i ristoranti a scegliere il latte della nostra provincia, quello che rende il cappuccino più schiumoso.
Come gli allevatori devono fronteggiare la concorrenza del latte più economico (e spesso meno controllato), così anche i ristoratori devono fare i conti con le sagre di paese. I “nuovi” banchi gastronomici – quindi non le manifestazioni delle Pro Loco – continuano ad aumentare e a fare il pienone nella provincia. Nel 2010 le “false” sagre avevano causato ai ristoratori un calo del 34% nel guadagno.
«Queste manifestazioni sono agevolate – dice Besacchi – Pagano meno tasse e sono soggette a meno controlli. Inoltre non sono obbligate a fare una rendicontazione di quanto hanno guadagnato e di come verrà impiegato l’incasso, se in beneficenza o altro».
Da qui l’iniziativa, sostenuta dalla Fipe (federazione italiana pubblici esercizi), di scrivere alla commissione di Montecitorio per chiedere che alle sagre si applichino le stesse regole che ai ristoranti. La commissione ha dato parere favorevole, ma mancano gli strumenti per intervenire. «Un negozio in centro paga circa 1200 euro di tasse sulle insegne pubblicitarie – dice Antonella Zambelli, presidente Fipe Varese e Provincia – Le sagre, invece, attaccano manifesti ad ogni rotonda per pubblicizzarsi, senza pagare nulla. Inoltre non tutti gli operatori del banco gastronomico hanno “l’attestato di frequenza e formazione per alimentaristi” richiesto ai ristoratori e al loro personale».
«Nel menù spesso non viene indicato quando il prodotto è surgelato, cosa che i ristoratori hanno l’obbligo di fare – continua Besacchi – I prezzi non si distanziano molto da quelli dei ristoranti, con la differenza che il servizio è peggiore. Un esempio? Le code per prendere lo scontrino, per servirsi al banco, per aspettare il tavolo. Alla fine le famiglie spendono come al ristorante per mangiare più scomodi e peggio».
Besacchi fa anche un’altra valutazione: «sono favorevole alle sagre storiche, ma credo che la regione debba mettere restrizioni alla moltiplicazione indiscriminata di sagre che ormai vendono tutte gli stessi generi alimentari, senza alcun legame con il territorio».
s.bartolini
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