Tom Dumoulin vince il Giro del Centenario, e non poteva esserci verdetto più giusto. E forse, alla viglia della cronometro, era anche scritto finisse così: la pressione era tutta su di lui, e l’ha saputa gestire correndo una cronometro pressoché perfetta, senza esagerare e senza prendersi eccessivi rischi. Dumoulin vince e diventa il primo olandese a trionfare nella storia della corsa rosa. Sul podio finiscono Nairo Quintana, secondo a trentuno secondi e Vincenzo Nibali, terzo a quaranta. Distacchi minimi, che confermano e certificano un equilibrio che è durato fino all’ultimo giorno, all’ultimo chilometro. Ed è stato bello così, è stato bello vivere e commentare questo Giro ed ora che è finito ci sentiamo tutti un po’ più soli ed un po’ più poveri.
Il terzo posto finale di Nibali può sembrare una delusione – non lo è in realtà a 33 anni contro due corridori nel pieno della carriera – ma eleva il siciliano alla storia del ciclismo italiano: per Vincenzo è stato il nono podio in carriera in un Grande Giro, alla pari di Fausto Coppi. Epoche diverse, discipline diverse per sfaccettature e possibilità, ma Nibali è nell’olimpo di questo sport e merita tutti gli elogi del mondo.
La cronometro finale la vince Jos Van Emden, un altro olandese, che si merita il successo e che, suo malgrado, finisce un po’ in secondo piano a causa di un altro olandese. Quel Tom Dumoulin che, arrivato senza i favori del pronostico, ha saputo sfruttare al meglio ogni situazione a suo favore, specialmente i chilometri a cronometro, ed ha sempre tenuto in salita in maniera eccellente. Ha sorpreso, a nemmeno 27 anni, per la sua solidità mentale, per la sua tenuta anche quando erano tantissimi gli avversari ad attaccarlo. È riuscito a non crollare dopo i problemi intestinali sullo Stelvio, quando chiunque avrebbe alzato bandiera bianca: lì probabilmente ha capito di poter vincere, e non ha più sbagliato, gestendo quando doveva gestire – nelle ultime giornate di montagna – ed attaccando a cronometro, rispettando il pronostico.
In classifica generale, Thibaut Pinot chiude al quarto posto, Ilnur Zakarin al quinto, Domenico Pozzovivo al sesto. Raggiunge la Top 10 anche Davide Formolo, straordinariamente decimo e protagonista di una crescita costante, che preso lo porterà al top, se limerà alcuni difetti.
Fernando Gaviria arriva a Milano in maglia ciclamino (classifica a punti), un generoso e sfortunato Mikel Landa in maglia azzurra (classifica scalatori), Bob Jungels si conferma in maglia bianca come miglior giovane, Daniel Teklehaimanot vince la classifica traguardi volanti e Pavel Brutt quella delle fughe.
Il Giro del Centenario non poteva essere banale, e non lo è stato, esprimendo il suo verdetto più importante solo alla fine, quasi a non volersi concedere fino alla fine. È stato il Giro di Michele Scarponi, che se ne è andato via prima di correrlo ma che c’è sempre stato, su ogni montagna ed in ogni chilometro. Il Giro di Paolo Tiralongo, che ha corso due settimane con una frattura alla costola pur di portare a termine la sua ultima corsa rosa. Di Manuel Quinziato, che ha chiuso la sua carriera da gregario al Giro con un podio a cronometro. È stato il Giro della gente, perché il Giro è della gente e lo sarà sempre.
Il Giro delle montagne, dei campioni del passato ricordati ogni giorno – vi siete dimenticati solo di Alfredo Binda ed è una mancanza grave, ma ve la perdoniamo – il Giro di Edward Ravasi e di Eugenio Alafaci: perché sono gli unici due varesini in gruppo e a modo loro hanno onorato ogni tappa, andando anche in fuga. Uno può sognare il futuro – Ravasi – l’altro fatica ogni giorno da gregario ed è arrivato a Milano malconcio, ma per il quarto anno di fila ci è arrivato. Forse non è stato il Giro degli italiani – una sola vittoria di tappa e nessuna classifica finale vinta – ma lo sarà in futuro: la ruota gira, e torneremo anche noi ad esultare.
Sei stato fantastico un’altra volta, caro Giro, e già ci manchi.