Il Papa al primo Angelus d’ottobre: “Mi rivolgo (a Putin) supplicandolo di fermare questa spirale di violenza e di morte, rivolgo un fiducioso appello a Zelensky affinché sia aperto a serie proposte di pace”. Un vero appello alla Pace, che è innanzitutto un deporre le armi e poi cominciare a parlare. Ma nessuno lo fa veramente.
Il Santo Padre è stato coerente sin dall’inizio a febbraio, il giorno prima dello storico 24, scriveva “vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio (..) ancora una volta la pace di tutti è minacciata da interessi di parte (..) la Regina della Pace preservi il mondo dalla follia della guerra”.
Non si può dimenticare il messaggio forte della Croce sulle spalle di Irina e Albina, due amiche ma una russa e una ucraina, alla Via Crucis pasquale romana. Tutto ciò finora non ha scosso le coscienze, anzi ci sono state rimostranze verso il Papa.
Così come le nostre coscienze, in Occidente, non si sono scosse per 8 lunghi anni di guerra in Donbass, dal 2014 insanguinato perché una parte dello Stato ucraino, quella filo-russa all’est, aveva rifiutato gli esiti di un cambio drammatico di Governo a Kiev, per alcuni un golpe per altri una rivolta. La lunga crisi del Donbass ovviamente non giustifica la guerra mossa da Putin, ma almeno gli conferisce un senso realistico, che qui non si vuole vedere, facendo iniziare il “film hollywoodiano” solo da un’apparentemente insensata aggressione russa.
Se, togliendoci i vestiti dei “tifosi”, ponessimo in un gioco di specchi la vicenda del Kosovo e quella del Donbass una di fronte all’altra, potremmo notare come siano simili, ma dagli esiti opposti. In Kosovo la guerra del 1999 era durata pochissimo ed era stata imposta militarmente una pacificazione, mentre in Donbass il conflitto dura da anni e ora ci potrebbe portare perfino alla guerra mondiale.
Rileggiamo alcuni fatti. Come in Kosovo anche in Donbass, regioni con delle marcate diversità dentro uno Stato, che sia la Jugoslavia o l’Ucraina poco cambia, la maggioranza della popolazione, in quanto differente da quella dominante e da essa minacciata, si è ribellata.
Nel primo caso agli albanesi-kosovari stava stretto il potere esercitato dai serbi ed avevano subito la situazione. Ricordiamo che la NATO, anche l’Italia, era prontamente intervenuta militarmente in loro difesa. Di fatto la NATO prese in mano la situazione mediante l’Operazione militare “Allied Force” superando con una spallata le divergenze in sede ONU, ovvero con le bombe. Scopo Occidentale raggiunto: il Kosovo nel 2008 auto-proclamò la propria indipendenza, per il vero ad oggi riconosciuta solo dal 50% degli Stati ONU. Ovviamente l’indipendenza è garantita da una gigantesca base militare americana e dalla KFOR che, giusto per precisare, solo dopo le bombe NATO e molti morti anche civili, è stata mandata sul terreno per garantire la precaria sicurezza sotto l’ombrello dell’ONU. La questione non è risolta ancora ma almeno non c’è la guerra da anni.
Passiamo ora al secondo caso, a specchio, con i russi-ucraini che si erano ribellati nel 2014 al nuovo governo di Kiev filo – occidentale. Sono sempre stati sostenuti dalla Russia in quanto gente di lingua e cultura russa e nel 2022 hanno avuto nella “Operazione militare speciale” di Putin la spallata che, andando oltre le divergenze in sede ONU, ha “liberato” con le bombe un territorio conteso. Il Donbass in questo caso aveva già proclamato un’indipendenza, mediante un referendum nelle due Repubbliche ribelli e poi, con un altro referendum recente, l’annessione alla confinante Russia. Visto così sarebbe un caso “a specchio” rispetto al Kosovo, eppure in Occidente si parla di aggressione e violazione del Diritto Internazionale. Mentre la stessa Carta delle Nazioni Unite sancisce all’articolo 1 il principio dell’auto-determinazione dei Popoli.
Ora quello che sta succedendo in Ucraina è una tragedia immane di cui gli ucraini sono le prime vittime. Si potrà sostenere contro la Russia che le controversie internazionali non si risolvono con l’uso delle armi, ma tale accusa allora andrebbe rivolta anche alle bombe NATO del 1999. Così non è però, almeno in Occidente.
Si intuiscono allora gli “interessi di parte” di cui parla il Papa. La strategia delle provocazioni e delle tensioni, che negli anni ha prodotto questa tragedia, ha molti colpevoli in realtà, da una parte e dall’altra, a est e ad ovest, e a tutti il Santo Padre aveva infatti chiesto subito “un serio esame di coscienza davanti a Dio”.
Ora, prima che sia veramente troppo tardi e l’Europa stessa si trovi costretta al fronte o alla fame, penso vi sia alle porte un’occasione importante, il G20 del 15 e 16 novembre a Bali in Indonesia, al quale parteciperà anche Putin. Per sedersi attorno ad un tavolo e finalmente combattere con le armi della sola parola. Tutto il Mondo ha bisogno che subito dopo l’ONU riprenda la sua posizione politica centrale e s’imponga la diplomazia della Pace. Che per essere vera e duratura, in un Ordine internazionale equilibrato, non è mai una completa vittoria di una parte sull’altra, ma un riconoscimento reciproco, in ottica multi-polare. Solo così potremo festeggiare un Natale di Pace e Vita, altrimenti sarà il disastro.
9 ottobre 2022
Marco Cerini
Vergiate (Va)