Bruxelles, 10 nov. (Apcom) – Il ministro degli Esteri britannico, David Miliband, ha detto oggi il suo ultimo e definitivo ‘no’ al posto di Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue (Pesc), dopo i segnali contraddittori di ieri (e in particolare la sua presenza inaspettata alle celebrazioni della caduta del Muro a Berlino); non per questo, tuttavia, sono aumentare le chances di Massimo D’Alema. L’ex premier ed ex ministro degli Esteri italiano resta comunque un candidato forte, ma i dibattiti di Berlino, ieri, hanno rimesso in discussione tutto quel che sembrava già acquisito nei negoziati per le due nuove nomine previste dal Trattato di Lisbona (l’Alto rappresentante e il presidente stabile del Consiglio europeo), facendo ritornare il gioco alla casella di partenza. Tanto che fonti della presidenza di turno svedese evocano ormai la possibilità di procedere alle nomine con il voto a maggioranza qualificata, come prevede Lisbona.
Intanto, il premier svedese Fredrik Reinfeldt ha rinunciato all’ipotesi di convocare già domenica prossima un vertice Ue straordinario, e pare stia ora pensando a martedì, ma con l’idea di chiamare a Bruxelles i suoi colleghi solo se e vi sarà già l’accordo sui due nomi.
L’ostinazione del premier Gordon Brown, insieme alla martellante lobby dell’efficientissima diplomazia britannica, hanno rimesso in gioco la candidatura di Tony Blair per la presidenza stabile dell’Ue, ma come conseguenza hanno smantellato ciò che sembrava ormai acquisito negli ultimi 10 giorni: il fatto che l’Alto rappresentante dovesse essere un socialista, possibilmente di un grande Stato membro, e che il presidente dovesse provenire dalle file dei Popolari, e da un paese piccolo. Riproporre Blair, socialista di un grande paese, non poteva che sparigliare questa partita. E Brown ha trovato orecchie attente, fra molti suoi colleghi, alle argomentazioni secondo cui la decisione spetta ai capi di Stato e di governo, e non può essere predeterminata dai partiti europei; né può essere il primo presidente dell’Europa di Lisbona un illustre sconosciuto.
Per D’Alema, dunque, l’uscita di scena di Miliband, il suo concorrente più temibile, coincide con il rientro di Blair nel negoziato parallelo: ciò che comunque escluderebbe l’ex ministro degli Esteri italiano dalla corsa, visto che i due posti non possono andare entrambi a dei Socialisti. Non solo: diverse fonti riferiscono di una forte opposizione all’ex premier italiano all’interno del Ppe, nonostante l’appoggio ‘bipartisan’ che gli ha garantito Palazzo Chigi. L’attacco recente dell’ambasciatore polacco a Bruxelles, poi rientrato con le scuse della diplomazia di Varsavia (reiterate ancora ieri a Berlino), è solo la punta di un iceberg, che segnala la diffidenza nella famiglia politica conservatrice per il profilo troppo ‘di sinistra’ di D’Alema. E l’appoggio che gli assicurano i socialisti europei potrebbe non essere più determinante, se passa la tesi di Brown sulla decisione tutta intergovernativa sulle nomine.
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