Un abbraccio. Anzi, l’abbraccio. Quello del 17 giugno, quando Chester Bennington ha fermato tutti, ha gelato il tempo e con la delicatezza di chi oltrepassa per la prima volta l’uscio di un universo quasi sacro, si è immerso in mezzo al suo pubblico. È entrato nel nostro mondo, in punta di piedi, con candore. Era insieme a noi. Era uno di noi. Testa bassa, occhi chiusi, cuore in mano. Davanti a sé un milione di stelle. Gli 80 mila del Parco dell’Autodromo di Monza erano fissi su di lui, in un istante cristallizzato, in un’istantanea perfetta, eterna testimonianza di un legame indissolubile.
L’ultimo concerto dei Linkin Park in Italia ha la sua copertina. Un abbraccio infinito, tra noi e Chester.
Noi, che abbiamo avuto il privilegio di vederlo saltare da una parte all’altra del palco con il microfono in mano cantando le colonne sonore delle nostre giornate. Noi, che abbiamo avuto la sfiga di vederlo urlare e piangere per l’ultima volta. Noi, che eravamo lì, con lui, stretti in un abbraccio fuori dal tempo e dallo spazio, rimarremo in silenzio. Quando se ne va un campione, a parlare sono solo gli applausi. Quelli che si merita un artista vero, incapace di tenere nascosti i propri segreti agli occhi di chi l’ha sempre osannato e adorato per quello che è sempre stato. Uno di noi. Niente di più e niente di meno.
Se ne va Chester Bennington, un pezzo di storia della musica mondiale, voce imprescindibile del rock moderno. Capace di parlare ogni lingua. Addio Chester. Ci mancherai. Pochi, come lui, hanno avuto la capacità, no, la grandezza, no, la semplicità di parlare alle (tante) generazioni e soprattutto attraverso le (tante) generazioni, attraverso il tempo. In quanti sono cresciuti con i Linkin Park nelle orecchie? Vi vediamo, alzate le mani. Tantissimi.
Chester Bennington, con i suoi Linkin Park, ha sempre avuto qualcosa da dire, è sempre arrivato a tutti. Quegli album hanno venduto oltre 60 milioni di copie. Chissà, forse perché quel qualcosa che rappavano e urlavano i Linkin Park lo pensavamo tutti, e loro, lui, ce lo ha messo nero su bianco?
Gioia e dolore, euforia e incazzatura, giornate sì e giornate no, la voce di Chester Bennington era tutte quelle sfumature uniche e inimitabili che lo hanno reso un fenomeno a livello planetario. In un solo brano sapeva passarti l’anima ai raggi x, sporcartela, ripulirtela e rispedirtela indietro guarita.
Chester Bennington era Chester Bennington. Il cantante di uno dei gruppi più influenti nella musica internazionale. L’uomo dai mille tatuaggi e dai dilatatori alle orecchie. Era il trasformista, quello scheletrico del gruppo, quello matto che saltava giù dalle casse ai concerti. Era la voce nei momenti bui. La mano che respingeva le pareti che sentivi schiacciarti, era il sostegno che spingeva un po’ più su il cielo mentre ti stava cadendo addosso. Quello stesso cielo in cui, oggi, non risuonerà più la sua voce.
A chi importa se un’altra luce si spegne in un cielo di milioni di stelle, Chester? A noi.
Ora nel tuo cielo, nel nostro cielo, c’è una stella in più. E risuonano solo gli applausi.