«Il mondo è in continuo cambiamento e quindi anche il calcio. Una volta si insegnava a stoppare il pallone, guardare il compagno meglio piazzato e infine passare la palla. Oggi tutto questo tempo non c’è più. Ecco perché sempre di più, prima della tecnica e della tattica, è fondamentale allenare l’intelligenza. In tutto ciò, il nostro calcio andrebbe diviso in prima e dopo l’avvento di Arrigo Sacchi». Parole di Angelo Pereni da Gorla Minore, classe 1943,
calciatore professionista per 25 anni, allenatore da 32, oggi nello staff tecnico della Nazionale albanese di Gianni De Biasi. Insieme a Pereni, la serata organizzata a Villa Cagnola di Gazzada Schianno dall’Associazione Allenatori Calcio di Varese del presidente Giovanni Cortazzi ha visto protagonisti anche l’ex allenatore del Torino Giancarlo Camolese, docente del Centro Tecnico di Coverciano e mister del Chiasso (serie B svizzera), il responsabile Training Check della Juventus Roberto Sassi e l’ex Varese Mario Belluzzo.
Tema: “Un altro calcio è possibile?”. Al centro l’importanza della persona e la cura del settore giovanile. «Alla Juve – ha raccontato Sassi – l’investimento sui giovani è pari a quello di una buona prima squadra di serie B. Ma in Europa non sono poche le squadre che fanno altrettanto o di più. Un altro calcio è già realtà ma dobbiamo riconoscere che in alcuni Paesi, come ad esempio la Francia, la mentalità è un passo avanti. Al Monaco, dove lavora mio figlio, non pensano nemmeno un attimo di partecipare a tornei giovanili di prestigio come il nostro Viareggio semplicemente perché comporterebbe una prolungata assenza da scuola dei ragazzi. Di più. Gran parte dei giocatori della “Primavera” lavorano part-time. Questo fa si che siano più adulti dei nostri e più pronti ad affrontare ogni esame della vita». Nel corso della serata a Villa Cagnola l’associazione allenatori ha consegnato i premi fair-play in memoria di Alfredo Speroni all’ex mister del Varese Stefano Bettinelli e al presidente della Varesina Umberto Belletti, insieme ad un premio alla carriera al mister dei mister varesini Antonio Rossaro ormai oltre le nozze d’argento con il calcio provinciale. Riconoscimenti consegnati dal vice presidente dell’Aia Varese Carlo Frascotti, dal presidente FIGC Varese Alessio De Carli e dal referente provinciale del Coni Marco Caccianiga.
Per Giancarlo Camolese è stata una nuova occasione per raccontarsi e raccontare la sua nuova esperienza in Canton Ticino. «Un altro calcio è possibile e lo sto vivendo a Chiasso ogni giorno dove i giocatori si puliscono le scarpe e affrontano trasferte anche lunghe in giornata. Situazioni che per chi come me viene dal calcio italiano sembrano fuori da ogni logica. Invece sono cose che fanno crescere e forgiano il carattere. Quando da allenatore nelle serie minori mi è capitato di avere in squadra giovani in prestito da grandi club, ho visto quant’erano disorientati di fronte ad un campo spelacchiato o per non avere magliette di ricambio tra un allenamento e l’altro. Non è un caso se i nostri giovani patiscono più che in ogni altro Paese il salto dalla Primavera alla prima squadra».
Cos’ha imparato crescendo in un settore giovanile come quello del Torino? «Non si può delegare la crescita di un ragazzo al settore giovanile di una squadra di calcio – risponde Camolese – L’educazione e la crescita di un giovane sono compiti della famiglia, della scuola e anche dello sport. Al Toro cambiavo allenatore ogni stagione. Ognuno con metodi e nozioni tecnico tattiche differenti ma uguali valori. Valori che ho fatto miei traendone, da calciatore prima e allenatore poi, solo benefici e positività».
Dice di star bene in Svizzera perché vede e sente come sta il calcio in Italia? «No, non posso dire che il calcio italiano non mi manca. Dico solo che a Chiasso sto vivendo e imparando ad apprezzare una realtà per me tutta nuova che ritengo importante per la mia crescita umana e professionale».Potendo cosa cambierebbe del nostro calcio giovanile? «Vorrei vedere più gioia di giocare e umiltà in dirigenti e tecnici nel mettersi in discussione. Inoltre, una categoria come quella dei genitori va considerata e non rimbalzata. Senza genitori gran parte dei settori giovanili chiuderebbero. Infine, i bambini di oggi ti dicono le cose in faccia. Ascoltiamoli. Un istruttore di settore giovanile al termine di ogni stagione deve contare i bambini sul campo. Se sono di più dell’inizio stagione può concedersi il pensiero di aver fatto un buon lavoro ma se sono di meno qualche domanda se la deve fare. Senza se e senza ma, trovando le risposte in se stesso».