Dante colloca il poeta latino, Publio Ovidio Nasone (nato a Sulmona 43 a.C. e morto a Tomi sul Mar Nero 17 d.C.) nel Limbo, all’interno della prima Cantica della “Commedia”.
Ovidio, nel IV canto, si trova con Omero “poeta sovrano”, Orazio e Lucano, in un emisfero di luce, nelle tenebre infernali. Il poeta dell’“Ars amatoria” si trova tra coloro che sono morti nel peccato originale, ma si distingue, come gli altri poeti, perché ha lasciato onore e fama di sè sulla terra. A distanza di 2000 anni dalla morte, i versi di Ovidio sembrano ancora rispecchiare i temi del mondo contemporaneo, a partire dalle “Metamorfosi”, come rivela il professore e poeta Silvio Raffo che dedicherà
a Ovidio un recital oggi, insieme all’attrice Silvia Bottini e con l’accompagnamento musicale di Caterina De Domenico, alle 18, presso la Sala degli Svaghi del Castello di Masnago (Ingresso libero). «Ovidio è morto in esilio ed è un poeta poco ricordato, benché sia il più grande poeta mitologico del mondo antico – spiega Silvio Raffo – La sua modernità risiede soprattutto nel tema attualissimo della metamorfosi, non a caso ripreso dallo scrittore boemo Franz Kafka, che ha dato origine, con “La metamorfosi”, al romanzo moderno. Alla base della metamorfosi di Ovidio si trova la teoria orfico – pitagorica della metempsicosi, la trasmigrazione delle anime». Che cosa significa? «La filosofia dell’Orfismo è la più misterica delle filosofie, in cui viene dato largo spazio alla magia, alla visione magica – numerica, al passaggio dallo stato animale a quello umano. Ovidio si diverte a ripescare gli straordinari e fecondi miti greci e a riproporli in latino, in un enorme catalogo poetico». Quali saranno i miti delle Metamorfosi al centro dello spettacolo? «Le parti che metteremo in scena sono le coppie di Piramo e Tisbe, Eco e Narciso e Filemone e Bauci. Ci soffermeremo poi sul mito di Ciparisso, in cui il giovane uccide il cervo che amava tanto e ne è così addolorato da trasformarsi nell’albero del cipresso». Ovidio era nato l’anno successivo all’uccisione di Cesare e lo stesso anno della morte di Cicerone e non ha attraversato i sanguinosi anni delle guerre civili, ma ha vissuto nella “concordia” dell’ordine restaurato da Ottaviano Augusto. Sin da giovane, a Roma, Ovidio ebbe modo di frequentare le scuole retoriche più rinomate e intraprese diversi viaggi in Oriente. “Habeat ille comptum et decens et amabile ingenium”, diceva di lui un suo compagno di studi: “mente adorna, decorosa e piacevole; parlava e dalla sua bocca uscivano automaticamente dei versi».
Una vocazione letteraria che Ovidio seppe mettere a frutto, dedicandosi, già a vent’anni, alla sua ricca produzione lirica: i cinque libri di eligie “Amores” ci restituiscono una serie di lettere immaginarie scritte da donne del mito ai loro innamorati. Ovidio non ha tralasciato aspetti del gioco della seduzione, dell’amore e del make up ante litteram, con le opere “De medicamine faciei”, l’“Ars amandi” e i “Remedia amoris”, quest’ultima dedicata a come ci si libera della passione amorosa.
Lasciando da parte la produzione “erotica”, Ovidio si dedicò quindi alla composizione di altre importanti opere, le “Metamorfosi”, in cui si susseguono, ininterrottamente, i miti dalla creazione del mondo ai tempi di Ovidio, e i “Fasti”, la raccolta di elegie sulle festività del calendario romano.
All’improvviso, tuttavia, un editto di Augusto interruppe la stesura dei “Fasti”: il poeta Ovidio venne esiliato a Tomi, sul mar Nero. Sul vero motivo dell’esilio gli studiosi ancora oggi si interrogano e lo attribuiscono al programma moralizzatore del principato augusteo o alla sua conoscenza dei trascorsi adulterini della giovane Giulia, la nipote dell’imperatore. L’amore e le metamorfosi lasciarono dunque il campo alle tristezze, “Tristia” e alla stesura di lettere, le “Epistulae ex Ponto”. Ma a nulla valsero le suppliche agli amici. Ovidio morì esule, intorno al 17 dopo Cristo.n