Nel Varesotto e in tutta Italia c’è un esercito di persone in cerca di lavoro e di speranza: ora cosa facciamo? Si rivolgono a noi della stampa locale per chiedere un’opportunità, ma è un problema che deve farci riflettere.
Il miraggio di un impiego come contadino per la stagione estiva in Svizzera ha letteralmente scatenato un esercito di senza lavoro, sommergendo sia noi che le associazioni degli agricoltori svizzeri di richieste di informazioni e di offerte di candidature spontanee per un lavoro.
Il nostro articolo ha generato, il dato è di martedì, circa 88mila visualizzazioni sul web. L’Unione dei contadini ticinesi ha ricevuto una valanga di circa 500 curricula, con email e telefonate, da parte di persone in cerca di un posto di lavoro stagionale.
Ma è innanzitutto la nostra stessa redazione ad essere stata letteralmente presa d’assalto dalle richieste: a decine, sugli indirizzi email personali e sulle pagine facebook associate agli articoli che abbiamo pubblicato sul nostro sito, si sono rivolti direttamente a noi, che di mestiere facciamo i giornalisti e non siamo certo un ufficio di collocamento, per cercare un’indicazione, un contatto, per riporre la speranza di una svolta.
Parliamo per mesi di Jobs Act, di sgravi contributivi, di Garanzia Giovani, poi un giorno ci troviamo a fare i conti con la realtà. Quella vera e cruda delle persone che cercano un’occupazione e che non sanno dove andare a sbattere la testa. Soprattutto giovani, tanti giovani che cercano solo un’opportunità e che dimostrano di essere tutt’altro che dotati di scarsa volontà e intraprendenza.
Anche se potrebbe essere impegnativa e anche se richiederebbe il sacrificio di cambiare la propria vita. C’è di tutto in quelle decine di persone che ci hanno contattato. C’è una nipote che chiede per «lo zio che ha fatto l’agricoltore» e c’è una mamma che ci scrive per conto del figlio, chiedendo «notizie sul lavoro in agricoltura in Svizzera» ma anche, in alternativa, «se si hanno notizie di lavori simili in altre zone d’Europa».
C’è chi ha «esperienza ventennale nel settore dell’agricoltura» e chi «non ha mai lavorato la terra», ma comunque ci proverebbe, pur di avere un’occasione. Ci sono quelli che hanno «un contratto con una cooperativa che scade a ottobre» e non sanno se gli verrà rinnovato e quelli che cercano «un lavoro da due anni, ma dopo aver mandato curricula a destra e a manca non sono riusciti ad ottenere nulla». Ci scrivono dalla Puglia, dalla Sardegna, da Roma, da ogni parte d’Italia. Emilio, da Gorizia, arriva a dire «ti prego, ti scongiuro», pur di avere un contatto a cui rivolgersi.
C’è persino un gruppo di «apicoltori irpini» che vorrebbe capire se fosse possibile avviare un’attività – di fatto delocalizzare – oltre la frontiera. Certo, l’idea di un salario da tremila euro al mese (è quanto prevede il contratto di lavoro della categoria per uno stagionale a tempo determinato) non è roba di tutti i giorni, ma il dato comune, sconvolgente, sono centinaia di persone che non sanno più a chi rivolgersi per cercare di avere un’occasione di lavoro. Per quanto precaria, lontana e tutta da verificare.
Sia chiaro, in Svizzera, e tantomeno nel Canton Ticino, non c’è assolutamente spazio per tutta questa gente che cerca speranza.
Anzi, l’agricoltura svizzera teme con forza il sistema dei contingenti che potrebbe essere introdotto in seguito all’iniziativa contro l’immigrazione di massa e rischia di non riuscire a gestire, nel prossimo futuro, la probabile assenza di forza lavoro in arrivo dall’estero, tanto da mettere in campo iniziative come quella di far lavorare i rifugiati extracomunitari in una decina di aziende agricole sparse per la Confederazione.
Però lo spaccato di vita reale che abbiamo scoperto, solo divulgando una notizia, è una bomba sociale pronta ad esplodere. Io, giornalista di provincia, mi ci sono imbattuto quasi per caso.
Ma sarebbe bello che per un giorno, un solo giorno, tutto questo profluvio di messaggi e di richieste di aiuto arrivasse all’ex politico che ricorre al Tar per difendere con le unghie e con i denti il suo ricco vitalizio, al dirigente pubblico che invece di pensare a lavorare briga per mantenere il suo posto lautamente pagato, al consigliere d’amministrazione che fa il giro delle sette chiese per ottenere un incarico che gli dia uno stipendio “extra”, ma anche al demagogo che viene eletto nelle istituzioni proprio per rappresentare queste persone senza voce e finisce per perdersi nel teatrino della politica perennemente immobile.