Un fratello per nemico e tremila in trasferta

Domani sera alle 20 Varese-Cantù al Pianella. Le emozioni di Sandro Galleani e Antonio Franzi: «Come si vince? Chiedete a Vescovi e Ferraiuolo»

E’ la vigilia del derby. E che derby. Cantù Varese è una partita che non ti spieghi, che vivi e basta. Che vinci e perdi. E c’è chi, per anni, ha vissuto un doppio derby, come Sandro Galleani. Lui da una parte, ed il fratello Terenzio dall’altra, anch’egli fisioterapista.

«Sono derby che non dimenticherò, anche se la memoria non sempre mi aiuta – attacca Galleani – Già di per sé Varese – Cantù è una partita che esula dalle solite logiche del basket, per di più mi trovavo contro anche mio fratello Terenzio che per dieci anni è stato fisioterapista a Cantù. E tuttora vive lì».
Del resto come sottolinea anche Galleani, i derby sono tutti belli. Proprio perché dall’altra parte non c’è un avversario qualunque. «C’è rivalità sportiva tra me e mio fratello, eccome – continua Sandro – ma appena finita la partita, tutto tornava come prima. Ogni derby lo ricordo con piacere, e mi viene anche difficile pensare ad un derby migliore di un altro, proprio perché mi piacciono tutti, a prescindere dalla vittoria e dalla sconfitta».

L’enciclopedico Antonio Franzi, invece, apre per noi il libro dei ricordi e snocciola dati e statistiche dei derby che si ricorderà per sempre. A partire da un Varese Cantù del 1980, giocato al Palasport di San Siro, a Milano: «Era una finale di Coppa delle Coppe, nel 1980. Fu l’ultimo successo europeo di Varese, allora targata Emerson, che veniva da un ciclo di dieci finali di Coppa dei Campioni consecutive. Dal 1970 a Sarajevo al 1979 a Grenoble,

con oltre tremila varesini al seguito. Giocavamo contro la Gabetti Cantù di Bianchini e di un giovanissimo Antonello Riva. Vincemmo ai supplementari, grazie ad una prova fantastica di Alberto Mottini. In quella Varese c’era ancora Ossola in regia, ma anche Bruce Seals e Bob Morse. E anche quell’anno, come a Grenoble l’anno prima, ci fu un’invasione di varesini. Avevo 18 anni , e mi ricordo ancora il viaggio in treno con gli amici fino in Centrale e poi la corsa al Palasport, che ora non esiste più».
Gira qualche pagina ancora, Antonio, e ci racconta un altro derby epico: «Come dimenticare la serie di semifinale del 1990, che ci portò poi a quella finale da lacrime contro la Scavolini. Ferraiuolo, Sacchetti, Vescovi, Corny Thompson e Pittman. Una serie vinta agevolmente, in quegli anni vincere al Pianella era una bella abitudine. Arrivammo in finale contro la Scavolini, si fece male Sacchetti. Tutti sapete come andò».

Non ci sono solo ricordi positivi però nel libro di Franzi. C’è anche una pagina negativa, dolente, forse la più brutta: «Il derby del 2004, con Cadeo in panchina. Varese perse con un distacco abissale, 71-106. Un derby che andò in tv, a mezzogiorno. Cade fu costretto a dimettersi, fu il culmine negativo di un periodo in cui tutto girava storto».
L’ultima pagine dell’album dei ricordi è dedicata alle figurine, a quei giocatori che hanno fatto la storia dei derby, da una parte e dall’altra: «Nelle file di Cantù, più che Marzorati, io ricordo con piacere quel gran centro di Bruce Flowers. Mi sarebbe tanto piaciuto vederlo a Varese.Un altro giocatore che ha lasciato il segno è indubbiamente Antonello Riva, che incredibilmente iniziò a disputare derby contro Varese nella categoria Allievi, leva del ’62. In quei giovani varesini allenati da Carlo Colombo, che fu anche vice di Gamba, militava Caneva, ma anche Tosarini, promessa cestista che si perse con gli anni. A Cantù allenava Bianchi, il padre di Alberto, il nostro decimo nello scudetto della stella. E per Varese è giusto citare Max Ferraiuolo e Cecco Vescovi. Loro sanno come si vince».