è una donna eccezionale, fiera come gli asparagi che accudisce amorevolmente da quando la vita l’ha affiancata a, morto improvvisamente nel 2009 a quarantadue anni.
«La mia è stata una favola d’amore, nata e conclusa negli asparagi: ho visto il paradiso sulla terra, con mio marito».
Un brutto venticinque aprile di cinque anni fa Franco non si risveglia; e per Antonella inizia una vedovanza struggente, che però la fortifica al punto da farla diventare una delle imprenditrici più stimate del territorio varesino.
I suoi asparagi sono arrivati persino sulla tavola di Benedetto XVI. «Gli asparagi mi impegnano non solo durante i mesi clou della raccolta (aprile e maggio), ma anche tutto il resto dell’anno: sono molto delicati, vanno seguiti scrupolosamente in ogni stagione» racconta Antonella, che parallelamente conduce un’azienda florovivaistica.
La giovane conosce Franco il primo maggio del ’94, in piena stagione di raccolto: si sposano esattamente quattro anni dopo. «Per attaccar discorso mi chiese se conoscevo gli asparagi di Cantello: io ero di Cuasso e raccoglievo solamente quelli selvatici nel bosco. Come tutti i cantellesi, Franco, che veniva da una famiglia di agricoltori, aveva nell’orto alcune file di asparagi: erano il suo pallino, ne aveva più degli altri».
«Dicono che gli asparagi fossero coltivati nelle nostre zone sin dai tempi antichi; di sicuro alcuni emigranti cantellesi del primo Ottocento si erano imbattuti nelle coltivazioni del sud della Francia, all’avanguardia per i tempi; al ritorno avevano portato a casa la varietà bianca di Argenteuil, che aveva attecchito subito come fosse autoctona».
Antonella si commuove ricordando i primi tempi del loro amore. «Il primo viaggio da fidanzati fu per studiare gli asparagi a Bassano; successivamente andammo a Vicenza e Treviso. Franco voleva riportare l’asparago di Cantello ai fasti di un tempo, quando era richiestissimo dai privati locali e dai milanesi in villeggiatura ma anche dalla ristorazione, in primis quella ticinese; ma nessuno gli credeva. Lui invece era convinto che la terra dei suoi avi, sabbiosa, senza sassi, con l’acqua drenante fosse perfetta».
L’avventura prese vita grazie al contributo di un paio di altri produttori; scelti i terreni più adatti allo scopo, si investì nelle cosiddette “zampe”, cioè radici già formate di tuberi originali cantellesi. I primi tentativi furono fallimentari, perché bisognava assestare il tiro sul concime, sul ph del terreno e capire come organizzare al meglio le file.
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