Un pandemonio per una questione di lana… caprina. Noi sorridiamo con Francesco Inguscio e la sua ironia

Spettabile redazione,
ho letto la lettera del signor Francesco Inguscio immaginatosi capra (“Lettera-aperta-di-una-capra-agli-animalisti”) e ho pensato che sia sempre valido il detto “Nomina sunt omina”. Nel guscio il signor Francesco ci sta davvero.
Il caso da cui è partito per lanciare i suoi strali agli animalisti è chiaramente un caso limite e lo lascio da parte, soprattutto perché non conosco a fondo l’associazione in questione e proprio per questo non mi sento di giudicarla.
Il signor Inguscio,

che giudica il mondo animalista, purtroppo dimostra di conoscerlo poco e male… “voi umani fate torto alla vostra ragione… con tutte queste crociate insensate in difesa dei diritti delle libellule, dei cavallucci marini, dei pipistrelli piedati e via delirando”: è forse delirante difendere la vita di esseri senzienti?
“Il bello è che tra di voi vi fate ogni giorno la guerra, considerate perfettamente lecito e normale insultare un altro uomo, fargli deliberatamente del male, augurargli perfino una morte lenta e dolorosa…”. Difendere la vita degli animali non significa considerare lecito e normale ammazzarsi tra esseri umani e soprattutto, il modo migliore per non risolvere un problema (la violenza sugli animali) è spostare l’attenzione su un altro (la violenza tra esseri umani). Fare la classifica della sofferenza non è mai la via migliore.
“Ma guai a ordinare al ristorante, chessò, un coniglio alla cacciatora: «Orrore! Sacrilegio! Non ti vergogni a mangiare quella povera bestiola? Reprobo! Meriti il castigo divino»”. Sarebbe meglio non nominare Dio invano, soprattutto nella veste di castigatore, anche perché la religione cattolica non considera affatto un sacrilegio mangiare animali, anzi, certe feste si celebrano proprio ammazzando il vitello grasso.
“Amare gli animali è cosa buona e giusta, impossibile sostenere il contrario”. Quali animali? Chi sostiene di amare gli animali purtroppo spesso li ama anche cotti, arrostiti, grigliati, al forno, al vapore… e via mangiando e pure indossati, calzati… quindi è meglio sostenere di non amarli ma di rispettare la loro vita, lasciandogliela.
«Sperando che nel frattempo non salti fuori qualche altra “indispensabile” associazione che proponga di vietare, pena il carcere, espressioni come “Porco cane”, “Maremma maiala”, “Brutta iena”, “Lento come un bradipo”, “Vanitoso come un pavone”, “Sei un gufo”, e via di questo passo. Sapete com’è, i suddetti animali potrebbero offendersi a morte». Il signor Inguscio si è almeno accorto che la capra è in buona compagnia ma l’elenco delle nefandezze linguistiche umane è ben più lungo e tribolato di questo.
Il signor Inguscio scrive «il problema, qui, è un altro» ma da dentro il suo guscio non ha afferrato che cosa sia “altro” cioè il linguaggio.
La battaglia da affrontare, difficilissima da vincere (perché il mondo è popolato da miliardi di Inguscio e di “Vittorione nostro”), ma doverosa da fare, è non usare un linguaggio verbale e visivo specista, razzista, sessista, che offenda specie animale e specie umana. Il linguaggio è parte integrante della cultura e non è mai casuale: veicola informazioni, idee, modi di pensare anche grazie all’uso dei termini carichi di un significato che va oltre il letterale per includere il metaforico. Linguaggio e pensiero si influenzano reciprocamente perché il pensiero si esprime anche attraverso il linguaggio e il linguaggio a sua volta ridetermina il pensiero: rivedere il linguaggio è allora molto importante perché aiuta a generare il cambiamento.
Chi parla male pensa male: se oggetto del suo pensiero sono gli animali, riferirsi a loro con espressioni discriminatorie e speciste è segno di un’arretratezza culturale che diventa sempre più difficile accettare.
Cordiali saluti.