E luce fu. Dopo avere scavato in miniera per anni, e vissuto ingoiando polvere, agli uomini veri basta un raggio di speranza filtrato a tempo quasi scaduto, per aggrapparsi ad esso con i denti, dare l’ultima picconata e trasformarsi da signori nessuno in qualcuno.
Quando Gambadori e Osuji, quelli che Sannino a volte ha chiamato pizzaioli, si sono alzati dalla panchina e sono entrati in campo, la parabola dei signori nessuno si è compiuta ed è arrivata in cielo.
Nessuno batte centomila 2-0. Nessuno era un Varese cotto, rotto, senza difesa, senza attacco. Centomila una Cremonese, e le altre centomila avversarie come lei già battute, pagata dieci volte tanto che aveva ormai le unghie infilzate sulla serie B. Qualcuno, in tribuna stampa, era già pronto a spedire il suo articolo a un grande giornale nazionale con questo attacco: «Al Varese è mancato soltanto il gol». Non aveva ancora fatto i conti con i pizzaioli,
ottomila pizzaioli biancorossi che hanno servito una bollente e celestiale serie B. Roba da Giovanni Borghi, e difatti c’è il timbro nascosto, ma per noi evidentissimo, di quello che il cumenda considerava come un figlio: Riccardo Sogliano. La sua tenacia, la sua sofferenza, la sua lontananza forzata sono la molla segreta che hanno elevato suo figlio Luca, abbracciato all’alter ego Sannino, fino a un punto oltre il quale c’è solo la serie A. E, conoscendo l’indole dei personaggi in questione, da oggi inizieranno a pensarci.
Il problema di chi ha affrontato il Varese, in campo e fuori, è sempre stato quello di non avergli mai creduto fino in fondo: ma chi sono, da dove vengono e cosa vogliono. Mentre se lo chiedevano, il Varese gli piombava addosso: come un vento, come una ruspa, come un treno, come una musica. Perché se Ebagua si suicida, se Momentè e Armenise sono fuori, se Preite si infortuna, se Dos Santos e Carrozza giocano su una gamba sola, non c’è problema, non c’è mai stato. È la regola del ciclismo: avere qualcuno che ti porta ai piedi dell’ultima salita, o ai piedi di un Buzzegoli, di un Carrozza, di uno Zecchin.
Questo Varese è sempre stata una squadra di campioni improbabili ma gregari nell’anima contro campioni sicuri di esserlo, ma incapaci di fare i gregari. Il Varese fa bene al calcio perché si è andato a prendere tutto partendo da un’idea o da giocatori messi ai margini dai ricchi scemi che governano il calco. Lo ha fatto senza l’aiuto di nessuno. Sono dovuti arrivare Rosati e Montemurro, che non hanno rivali nella leggerezza e nella competenza con cui comandano il vertice di una piramide libera di esaltarsi, in ogni suo strato. Non è da tutti. È da nessuno, cioè da Varese.
All’inizio non c’era un campo dove allenarsi, né stadio (campa cavallo), né giocatori, né Comune, né pubblico a parte 1500 fedelissimi. Sulla terra bruciata, solo Luca Sogliano: selvaggio, ostinato, solitario, intrattabile ma quasi mistico nel seguire un destino che era già scritto. Da lui. E da Sannino: una biglia d’uomo che la vita ha mandato spesso fuori strada, persino a lavorare in manicomio, per non lasciargli impresse le stimmate del vincente. Qualcuno dice del Beppe: «Ha qualcosa nella testa molto più forte di quello che gli altri mettono in campo». Dicevano di un grande campione della bicicletta: «Lui va più forte in salita per abbreviare la sua agonia». L’agonia di Sannino sono state le mille ingiustizie subite, le panchine perse sul più bello e l’etichetta di povero pazzo. Grazie a quella, va più forte di tutti. Lui è da serie A, come Luca Sogliano: ma per colpa di un mondo sbagliato che privilegia i raccomandati e i nomi famosi, non i più bravi, ce li teniamo qui. E in A ci andiamo con loro. Con questa squadra-bonsai fatta da contadini e nomadi del calcio uniti da un’idea in un esercito imbattibile e rappresentati dall’icona vivente di questa Champions più Mondiale più Tour de France vinti: Alfredo Luini.
La gioia gli ha rigato e arrossito il volto per tutta la notte, soffocata nel corpo immobile della sua carrozzina: quelle lacrime sono l’unica cosa che ha, le usa per cambiare il mondo. Se vuoi vederle, riempiendoti lo spirito, devi essere gigante di spirito e sensibilità. Come gli uomini del Varese, dall’ultimo al primo.
Caro Alfredo, la serie B non sarebbe mai potuta sfuggirci perché l’abbiamo sempre avuta davanti agli occhi. La serie B sei tu e quelli che spostano le montagne con gli occhi e i piccoli gesti come te. E qui di angeli, qualcosa più che tifosi, ne abbiamo pochi ma buoni: da Giorgo Scapini a Max Vaccalluzzo, da Pietro Frontini a ’O scienziato, da Silvio Papini a Pippo e Lucio, da Enza e Dante a Tiziano Masini, da Cecco e Tony a Giancarlo Giorgetti. È lo zoccolo duro biancorosso e la sua capacità di erigere una barriera d’amore invalicabile attorno al Varese che ha portato in porto la nave.
In certi bar di provincia c’è sempre una fisarmonica o una chitarra sull’ultimo tavolo in fondo. Arrivano due da fuori e si mettono a suonare. Come fanno Sogliano e Sannino con il Varese. Una lezione di cuore e classe, ma anche di calcio: vero, buono, che sa di anima e radici. E poi non dovremmo innamorarcene? In coda c’è posto, grazie.
Andrea Confalonieri
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