Un varesino a casa del Pirata: «gli occhi di sua madre chiedono verità»

Martino Caliaro e la sua giornata a casa Pantani: «Che emozione vedere tanta gente nel suo museo. Per papà Paolo è come se Marco fosse morto ieri»

Non esiste una verità migliore se non nel cuore dei tifosi. Marco Pantani ha cambiato il mondo del ciclismo, lo ha ribaltato, ha stravolto gli occhi degli appassionati prima di riempirli di lacrime.
E non è uno di quei campioni che escono dal libro dei ricordi in punta di piedi. Martino Caliaro è un ex ciclista, passato anche professionista, che ha sempre avuto un modello, un idolo. Neanche a dirlo, Marco Pantani.

Ha iniziato ad andare in bicicletta grazie a lui, e ancora oggi si allena sulle strade del Cuvignone. Rigorosamente, in salita. Perché quando la strada sale ci si sente Pirati, ci si sente sempre un po’ Pantani. E domenica ha riaperto il libro dei ricordi ed è andato a casa del suo campione, a casa dei genitori del Pirata. Un’emozione forte, difficile da spiegare. Una giornata proprio da Pirata: «È stata una domenica bellissima, ero già

d’accordo con la Tonina che sarei andato a trovarli. Sono riuscito anche a parlare con il padre Paolo, più di un’ora. Ed è una cosa inusuale, perché lui non è abituato ad esporsi molto. In televisione infatti, vediamo quasi sempre la madre. Che ormai è abituata. Lui si commuove ancora come se Marco se ne fosse andato ieri».
Due chiacchiere da amici, parlando del Marco bambino e del Marco campione, ammirando i cimeli del museo. E le parole della Tonina, che non sono mai banali: «Siete la mia forza ragazzi, tutti voi tifosi, ci date la forza di andare avanti in quello che stiamo facendo». Poi il pomeriggio al Museo, in una anonima domenica di ottobre. Sembra non esserci in giro nessuno. Ma poi la sorpresa: «Poco prima delle tre arriviamo al Museo, che ancora era chiuso. Entriamo per primi, pensando di essere gli unici. Ma incredibilmente, dopo dieci minuti, il museo era pieno. Sessanta, settanta persone. Bambini, genitori, anziani. In un giorno qualunque. È stato emozionante. Siamo passati anche per il chiosco della madre, che aveva quando Marco vinceva. Mi ricordo le immagini della festa dopo la vittoria al Tour, con il chiosco invaso di gente vestita di giallo. Domenica invece era desolato, abbandonato».

Martino non è un semplice curioso, un appassionato. No, lui è un ragazzo che ha tifato Pantani fin da bambino, che ha sofferto dopo i suoi infortuni e gioito dopo le sue vittorie: «Entrando nella villa dei genitori, dove viveva anche Marco, mi è passata davanti agli occhi una scena che non dimenticherò mai. E’ l’immagine di Marco che, dopo l’infortunio alla Milano Torino, risale per la prima volta in bicicletta. In maglia Carrera, accompagnato al cancello dalla nonna. Che gli dà una pacca sulla spalla. Sembrava che la sua carriera fosse finita in quell’incidente, e rivederlo in bici fu bellissimo».
Perché Pantani è sempre stato in grado di sorprendere: «Ci ha raccontato il padre di quando Marco a 15 anni, da Juniores, andava da solo a scalare il Carpegna, una delle salite più popolari di quelle zone. Incontrava i professionisti sulla strada. Una volta si misero d’accordo per staccarlo, scattavano uno dopo l’altro, ma non riuscivano a scrollarselo di dosso. Alla fine, fu Marco a staccare loro. A 15 anni».
Poi diventò professionista, sempre sul punto di esplodere e a fare i conti con la sfortuna: «Nel suo museo c’è esposto in vetrina il ferro che gli misero nella gamba dopo la caduta alla Milano Torino. Non ha mai avuto pace, la riavrà solamente quando proveranno che è stato ucciso, come penso io. Quel giorno, sarà come ridargli indietro quel Giro del 1999 che avrebbe vinto anche su una gamba sola». Ed i genitori andranno avanti, con forza. Con la forze che solo appassionati come Martino sanno dare. Con la presenza, con la passione e con il coraggio.