Osservando la foto in bianco e nero che ritrae Luigi Pirandello, in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura a Stoccolma, il 10 dicembre 1934, si può pensare, dallo sguardo divertito e dal sorriso ironico che mostra il drammaturgo, che forse, anche in quel momento così solenne, la società gli apparisse un’“enorme pupazzata”, una costruzione fittizia, contraddittoria e artificiosa, che irrigidisce l’uomo e gli impone di indossare una maschera.
A centocinquant’anni dalla nascita – avvenuta il 28 giugno 1867 a Girgenti, ribattezzata poi Agrigento – Luigi Pirandello rivela l’attualità della sua opera e del suo testamento letterario, non solo per l’annullo filatelico e non per quel francobollo che, secondo Andrea Camilleri, lo scrittore agrigentino Premio Nobel, avrebbe, giustamente, meritato. Basta fermarsi a rileggere alcuni passi, celebri, della seconda parte del saggio “L’umorismo”, che tratta di “Essenza, caratteri e materia dell’umorismo”, per constatare ciò che, ieri come oggi, ci fa sorridere, ridere, amaramente, e comprendere i meccanismi su cui si basa la comicità.
«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. “Avverto” che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un “avvertimento del contrario”. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così
come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s’inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico». L’umorismo è, dunque, per il grande drammaturgo, una disposizione universale dello spirito umano, che si può riscontrare in ogni tempo e nella letteratura di tutti i tempi. La situazione beffarda della vita porta l’uomo, secondo Pirandello, a vedersi vivere, ad esaminarsi dall’esterno, ad essere sdoppiato, a recitare una parte che appare assurda, senza senso. La realtà è un “carcere”, in cui l’uomo si dibatte, cercando inutilmente di liberarsi. È una “trappola”, è “La trappola”, come la novella apparsa sul “Corriere della Sera”, il 23 maggio 1912. La realtà è una finzione, inconsistente, dove si aggirano, incoerenti, gli individui. “No, no, come rassegnarmi? E perché? Se avessi qualche dovere verso altri, forse sì. Ma non ne ho! E allora perché? Stammi a sentire. Tu non puoi darmi torto. Nessuno, ragionando così in astratto, può darmi torto. Quello che sento io, senti anche tu, e sentono tutti. Perché avete tanta paura di svegliarvi la notte? Perché per voi la forza alle ragioni della vita viene dalla luce del giorno. Dalle illusioni della luce. Il buio, il silenzio, vi atterriscono. E accendete la candela. Ma vi par triste, eh? triste quella luce di candela. Perché non è quella la luce che ci vuole per voi. Il sole! il sole! Chiedete angosciosamente il sole, voialtri! Perché le illusioni non sorgono più spontanee con una luce artificiale, procacciata da voi stessi con mano tremante. Come la mano, trema tutta la vostra realtà. Vi si scopre fittizia e inconsistente. Artificiale come quella luce di candela. E tutti i vostri sensi vigilano tesi con ispasimo, nella paura che sotto a questa realtà, di cui scoprite la vana inconsistenza, un’altra realtà non vi si riveli, oscura, orribile: la vera. Un alito… che cos’è? Che cos’è questo scricchiolio?”. Una “trappola” era costituita per Pirandello anche dall’istituto familiare, la prigione che soffoca l’uomo come aveva sperimentato a causa dello squilibrio psichico di Maria Antonietta Portulano, la donna che aveva sposato nel 1894, che lo porterà all’amara constatazione: «La pazzia di mia moglie sono io». In anni in cui cresceva l’importanza del cinema e della sua industria e, mentre, a Cinecittà, assisteva alle riprese di un film tratto da “Il fu Mattia Pascal”, Luigi Pirandello si ammalò e morì di polmonite, il 10 dicembre 1936, lasciando incompiuta la sua ultima opera drammaturgica “I giganti della montagna” e lasciando dietro sé un patrimonio letterario smisurato e attualissimo.n