Quando fai un lavoro che non conosce orari, non puoi permetterti il lusso di spegnere il cellulare. Prima regola del manuale del giovane giornalista: telefono in vibrazione o in silenzioso, ma sempre a portata di riposta in due massimo tre squilli. E, ovviamente, martedì mattina il telefono era spento. «Ciao, è da due ore che ti cerco: vieni a sentire a Milano?». Ecco perché non bisogna trasgredire ad alcune regole. Lezione imparata.
Camicia in una mano, scarpe nell’altra, ti fiondi in macchina. La conferenza di Barack Obama al “Seeds&Chips – The global food innovation summit” a Rho Fiera inizia alle 14. E sono le 12.30. Autostrada che neanche Niki Lauda, parcheggio che neanche a scuola guida e sei sulla metro. Ti specchi nei vetri delle due porte scorrevoli pieni di scritte e di adesivi: sì, puoi andare. Biglietto, pass, e sei dentro. Quasi 3000 persone sono lì
per ascoltare l’ex presidente Obama, nelle prime file ci sono i posti dei potenti. Flash, microfoni, telecamere. Ti butti davanti, cerchi di capire chi stia intervistando chi, cosa stia succedendo. C’è la Rai, obiettivo puntato sull’ex presidente del Consiglio . Cerchi di farti spazio, sgomiti, spingi: seconda regola del manuale del giornalista. «Signor presidente, posso farle una domanda?». Secondi tra tensione e speranza. «No, mi spiace». «E una foto, le va di farla? Certo». Sì, succede anche questo.
Sono momenti confusi. Colleghi delle tv, giornalisti dei quotidiani nazionali: tutti lì, a cercare di “rubare” il più possibile. C’è agitazione, e in quel caos ti guardi a destra, a sinistra, come in una partita di ping pong. Ad un certo punto quella massa unica formata da telecamere, giornalisti, reporter, fotografi si muove compatta come un branco e tu, per forza di cose, vieni sballottato dall’altra parte della sala. Sta entrando il segretario del Pd . Sorride, guarda negli occhi ognuno di noi belve assetate di notizie. «Buongiorno ragazzi, state bene?». Qualche foto la scatti, fai un video, riprendi ogni suo gesto. Ma il branco ora è più folto e numeroso. Alzi la testa e hai davanti a te un gorilla di due metri per due. Sguardo da terminator, mano alla bocca: «Aiuto, qui c’è troppo caos, ho bisogno di una mano». Volti la testa per seguire la pallina impazzita, la rigiri ed ecco altra scorta. «Ok , adesso spazio, via da qui». E sei catapultato dall’altra parte della prima fila. Ancora.
Stai aspettando l’ingresso di Barack Obama, quindi ogni 5 minuti ti giri per vedere se succede qualcosa che non ti devi perdere. Ma tutto è coordinato, ogni movimento è pensato e studiato. Tutto “tranquillo”. Intanto, ti sfilano davanti il presidente di Regione Lombardia , il sindaco di Milano , il presidente del Consiglio Regionale . Ognuno ha il suo posto. Stringi le mani a tutti e provi la domanda, la foto. Qualunque cosa. Ma il branco si è già rispostato dall’altra parte, ancora da Renzi. Adesso qualcuno gli ha passato una palla da basket: «Matteo, falla firmare dal presidente Obama». Renzi sorride, si gira, e si passa la palla con , seduto due file dietro di lui.
Tutto si ferma. Il momento è arrivato. Tutti ai propri posti, o quasi. C’è il discorso d’apertura, sul perché siamo qui ma tutti aspettano quelle parole, che arrivano dopo 5 minuti. «Ladies and gentlemen, diamo il benvenuto al Presidente Barack Obama». Sono tutti in piedi. Quello che fino a pochi mesi fa era l’uomo più potente del mondo è davanti a te, a una ventina di metri. La pelle d’oca. Obama è come te lo aspettavi, forse di più. Sorridente, con la camicia sbottonata («ho dimenticato la cravatta»), calmo. La sua voce è suadente, serena, calda. Qualcuno dietro di te non ha dubbi: «Se fossi stato americano, l’avrei votato senza dubbio». Il 44esimo presidente parla del cambiamento climatico, di come con la sua amministrazione si sia impegnato per farvi fronte, dell’importanza del Cop21 e di come Usa e Cina debbano dare l’esempio. Barack Obama spiega come gli Stati Uniti si stiano impegnando per cambiare le abitudini alimentari dei cittadini, per costruire «collaborando anche con Matteo, un mondo più sostenibile». E il Presidente usa una parola fondamentale: «coscienza». Serve coscienza verso la materia, sul cibo, sulle produzioni, sugli allevamenti, sugli sprechi.
L’intervento del Presidente dura 45 minuti. «A proposito di cibo, devo tornare a casa e non so che cosa mi cucinerà Michelle». Barack Obama saluta ed esce di scena, tra gli applausi di un pubblico ammaliato dal suo charme e dal suo stile. Il branco ritorna a muoversi unito, famelico. Tutti addosso ancora a Metto Renzi. Tra spinte e pressioni, il branco si ferma. Renzi sta per parlare. La mano trema, allunghi il braccio con il telefono attivo insieme ad altri 35 microfoni: speri di registrare un video, un audio, una parola. E ce la fai, perché hai il video in alta qualità. «Il messaggio è grande: un grande leader come Obama si mette a disposizione per portare le nuove generazioni ad impegnarsi e a non cedere alla cultura delle fake news, Sono contento e gli daremo una mano con tutto l’entusiasmo che abbiamo». Parole di Matteo Renzi.
«Ma quindi lo hai intervistato?», ti chiede la voce dall’altra parte del telefono. «Quasi, la prossima volta». Com’era? Yes, we can.