Una “non partita” al palazzetto. E quell’allenamento a pagamento

Non c’è bisogno di scomodare la storia, il blasone europeo, il passato e gli stendardi sul soffitto: sarebbe troppo facile. No, non serve: ci basta dire che quello andato in scena mercoledì al palazzetto di Varese non ci è piaciuto, non ci è piaciuto per niente. Cos’è stato? Un allenamento, un’amichevole, una non partita. Una serata senza senso, davanti al pubblico pagante. E sia chiaro, non è che a starci sullo stomaco siano i venti punti sul groppone (quest’anno è già successo tante volte, e l’impressione è che tante altre volte succederà).

Non ci è andata giù quella sensazione di “che siete venuti a fare”, di “potevate stare a casa”. Non ci è andata giù la mezza presa in giro di una coppa voluta, cercata e inseguita per poi accorgersi di essere inadeguati a una cosa troppo più grande di quel che si pensava. Non ci è andato giù Canavesi in campo per la prima volta in questa stagione (poi, tra i più bravi) con il risultato ancora in bilico.

E adesso diventa difficile, diventa difficile pensare di mettersi qui tra un anno a chiedere ai tifosi di abbonarsi per la coppa, di crederci, di aprire le borse e riempire il palazzetto. L’anno scorso la coppetta aveva mascherato i problemi della squadra, l’aveva isolata dagli uragani e distratta dalle mancanze societarie finendo per salvare la stagione. Quest’anno, saliti di livello, l’Europa sta diventando un pericoloso boomerang. Che riesce soltanto a fare incazzare la gente, con serate come quelle di mercoledì.
La partita al palazzetto, per la gente di Varese, è qualcosa che sfiora il sacro e il religioso. Maltrattarla, equivale a una bestemmia urlata in chiesa.