– In via Sleme è sorto un nuovo “hotel della miseria”. Si tratta dell’edificio abbandonato che una volta ospitava gli uffici della Guardia di Finanza vicino a viale Belforte. Qui cercano riparo alcuni senzatetto. Ogni sera, quando il buio e il freddo sono ormai calati, la migrazione prende il via. Ed è qui che il nostro viaggio nel degrado varesino prende il via.
Gli ospiti dell’“hotel della miseria” di via Sleme si contano sul palmo della mano.
Arrivano scaglionati in tre piccolissimi gruppi. I primi a far rientro a casa sono due giovani uomini di origini magrebine. Sono le 23.30 e i due imboccano la via sbucando da viale Belforte.
Camminano a testa bassa, rannicchiati all’interno dei loro giubbotti. Dopo aver dato un veloce sguardo intorno a sé, si infilano in un ingresso ricavato nella recinzione per poi sparire nel buio. Dall’esterno si sente un asse, forse in legno, sbattere. Poi il silenzio.
Sbirciando all’interno della struttura si intravede una fievole luce. Dopo circa una mezz’oretta ecco arrivare altre due persone: sono altri due ragazzotti, anche loro di origini straniere.
Uno di loro ha in mano un sacchetto in plastica con all’interno dei contenitori utilizzati per custodire il cibo take away.
L’altro impugna un cartone di vino. Anche loro, prima di varcare l’entrata del’“hotel”, verificano di non essere osservati e scompaiono tra i muri dello stabile.
La debole luce è ancora accesa. A distanza di pochi minuti ecco arrivare un quinto uomo. Guardandosi intorno nota la nostra presenza e ci chiede se lo stiamo seguendo.
Ci avviciniamo e gli spieghiamo che stiamo solo cercando di capire cosa succede in via Sleme durante la notte. Non vuole dirci il suo nome, ma ci racconta di avere 35 anni e di essere algerino. Arriva da Milano e spiega di cercare un posto riparato dove trascorrere la notte. Nega di essere stato all’interno dell’edificio prima e che, girovagando per la città, è casualmente capitato nella zona e ha notato lo stabile abbandonato. «Devo solo far passare qualche ora: chi ha abbandonato questa “fabbrica” non credo che si accorgerà del mio passaggio».
L’uomo indossa una cuffia e una sciarpa in lana. In mano impugna un sacchetto che tiene ben stretto intorno al petto. Ci chiede una sigaretta, saluta e svanisce all’interno del casermone.
È l’una meno un quarto. Sentiamo nuovamente il rumore di un asse che sbatte e, dopo circa cinque minuti, la fievole luce che proviene da uno dei locali interni all’edificio si spegne.
Le aree dismesse nel cuore o alla periferia della nostra città sono numerose. Il risultato è il sorgere di “hotel miseria”, situazioni che infastidiscono i residenti e, come detto, spesso nascondono potenziali pericoli per gli stessi occupanti.
Ciononostante i disperati, spesso privi di documenti e permesso di soggiorno, attrezzano gli alloggi di fortuna come vere e proprie abitazioni. O almeno ci provano.
Il tratto comune è che si tratta sempre di ex. Ex fabbriche, ex case cantoniere, ex ville, ex capannoni, ex scuole. Edifici abbandonati e lasciati a se stessi che vengono occupati da chi una casa non ce l’ha, per scelta o per necessità. Persone che compiono quotidianamente un reato ma che vivono così, spesso fra l’immondizia, sicuramente in condizioni di sicurezza e di igiene molto precarie. Ma i senzatetto sono sempre alla ricerca di un nuovo posto dove stare e quindi migrano.
Il problema delle occupazioni, in ogni città, è che spesso agli sgomberi non fanno seguito misure di chiusura e messa in sicurezza delle zone terreno fertile per occupazioni abusive.
Spesso fabbriche dismesse ma a volte anche edifici centrali, antichi palazzi come vecchie case a corte. Così gli hotel miseria tornano a riempirsi di vecchi e nuovi ospiti.n