Ricercatrice instancabile, donna innamorata di scienza e conoscenza da coltivare e far coltivare, scrittrice brillante. Presidente dell’associazione italiana sclerosi multipla, premio Nobel per i suoi studi neuroscientifici e senatrice a vita. E poi grande amica dei giovani e dell’universo femminile, promotrice di solidarietà a tutte le latitudini, persino paroliera di un brano dei Jalisse che parlava di speranza nel futuro.
Definire in una sola parola Rita Levi Montalcini è impossibile. E allora, mettendone insieme tutti i tasselli, si può dire che fu una donna che amò il genere umano e il mondo dando un fondamentale contributo alla loro comprensione. Chi meglio della sua figura poteva simboleggiare la giornata dedicata alla donna? A porre la sua figura in primo piano hanno provveduto l’altra sera l’Università della Terza età cittadina presieduta da Andrea Cicognani e assessorato alla cultura di Anna Pagani con una serata dal titolo “Non sarà un gene che ci dividerà”.
Già, perché l’assunto di questa donna, tra le prime a dedicarsi a medicina e ricerca in un’epoca in cui volgevano al maschile, era che noi uomini non fossimo solo i nostri geni ma fossimo figli anche dell’ambiente in cui cresciamo. A condurre in questo viaggio nella vita e nell’attività della ricercatrice sono stati lo studioso e teologo Daniele Mantegazza, ex assessore alla cultura a Gorla Minore, la studiosa di neurologia Cecilia Perin e, con letture di brani, Flora Foglia.
Tanti i momenti percorsi da cima a fondo: dalla gioventù a Torino fino al legame tormentato con il padre e al rapporto con la sorella Paola, fino alla partenza per gli Stati Uniti con Renato Dulbecco per continuare le ricerche neuroscientifiche. «Se non sappiamo come funziona il nostro cervello non sappiamo neppure come utilizzarlo» amava dire.
E resta uno dei suoi manifesti più belli unitamente alla promozione della dignità di giovani e donne, specialmente quelle dell’Africa, per cui si impegnò senza risparmio.