Claudia Donadoni sarà “Stria” per tre giorni a Saronno. Dal 7 al 9 aprile, con due serali e una pomeridiana, l’attrice varesina sarà sul palco del teatro Giuditta Pasta di via I Maggio con il suo racconto di una storia vera, ambientata nel territorio Insubre ai tempi della Santa Inquisizione e della caccia alle streghe. L’accompagneranno le musiche eseguite dal vivo da Giovanni Bataloni.
Da quasi due anni Claudia aveste i panni di Rusina e con tante rappresentazioni nel contesti più svariati, ha potuto constatare quanto «ogni volta il pubblico sia rapito e commosso dalla storia del personaggio e dal dolore che evoca. Vuol dire che tutto ciò che si consuma con l’atto scenico arriva fino al cuore».
Una rappresentazione che «sta girando tanto, non solo nelle nostre zone». E il limite della “lingua” non c’è. «Il dialetto, un po’ gramellot di matrice testoriana e un po’ legato a Fo arriva assolutamente in modo forte – racconta Claudia Donadoni – Una lingua come il dialetto o che si ispira a quelle sonorità, è adatta a trasferire la drammaticità e la forza che questo testo vuole raccontare».
La pièce ha una parte definita, ma anche un piccolo spazio «per l’improvvisazione. Con la pratica si sono delineate le intuizioni che hanno trovato la giusta risposta, altre sono state modificate perchè non funzionavano perfettamente. C’è una canzone che ha subito cambiamenti nella scrittura e nella presentazione al pubblico. Altre sono in via di continua evoluzione». Uno spettacolo che mira ad utilizzare molti linguaggi, che «spazia dalla parola raccontata fino a parti di sperimentazione vocale pura, arrivando anche ad altre con canzoni e teatro danza. Li comprende e incastra permettendo di passare dall’uno all’altro».
Nello spettacolo si alternano, attraverso continui flashback, riflessioni sul senso dell’esistenza, sull’esperienza spirituale in un difficile contesto storico e religioso. La condizione femminile è solo il punto di partenza.
«La storia di Rusina e le vicende dell’Inquisizione sono il pretesto per raccontare altri temi che purtroppo sono contemporanei. Forse i roghi non ci sono più ma hanno altre forme. Quel tipo di persecuzione e giustizia di genere sono ancora profonde». Nelle ricerche per la stesura del testo, come autrice ha potuto «analizzare fenomeni antropologici come il “capro espiatorio”». Similitudini che fanno sorgere diversi interrogativi: «perché si crea quando si va incontro a un cambiamento nella società? Perchè sono gli umili che vengono condannati e diventano ingiustamente vittime anche di scelte politiche cui non sono responsabili?». La forza dello spettacolo «che gli consente di arrivare ed essere capito, a prescindere da cultura e preparazione, sono proprio le tematiche affrontate che ci toccano tutti da vicino. Il fatto, poi, che a vivere questa storia sia un personaggio innocente, lo rende ancora più forte».
È la prima volta che, a parte nelle grandi tournèe, la Donadoni è in scena per tre giorni.
«Sicuramente è la prima con uno spettacolo totalmente mio, nel quale mi espongo completamente come autore e che come attrice. Da una parte ci sono la gioia e la soddisfazione di calcare le tavole di un teatro prestigioso e d’essere sono affiancata nella rassegna della prosa da giganti cui ho sempre guardato per bravura e forza. Dall’altra ho grande emozione e timore, ma sono anche molto fiera perché racconto comunque una storia e, oggi, la memoria ha bisogno di essere tenuta viva, trasmessa e veicolata, perché altrimenti perdiamo pezzi di vita che fanno parte della nostra esistenza».
Conta nel percorso di Claudia anche l’essere autrice dello spettacolo. «Conta molto perché mi rappresenta in toto: racchiude il mio punto di ricerca di artista, la mia poetica e i linguaggi in cui mi ritrovo per comunicare. Ho una grande voglia di continuare e ho già in mente una scrittura importante, cui mi dedicherò in estate».